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Shhh!, questo articolo non parla del caso Saviano

Shhh! nel presente editoriale non si parlerà di quanto sia grave e pericoloso ciò che è accaduto a Roberto Saviano, condannato a pagare una multa solo per aver detto la verità. Shhh!, qui non oserò mai ammettere che l’accusa di diffamazione che gli è stata mossa, quella parolina galeotta che ha terrorizzato i politici al punto da muovergli querela, mi ha ricordato una frase, un monito tratto da una nota serie TV: The Handmaid’s Tale, ispirata al romanzo omonimo della scrittrice femminista Margaret Atwood, ma che – shhh! – non riporterò.

Non me ne volete. C'è all'interno quella parolina. L'ho già citata altrove. Il punto è che, seppure, rispetto a Saviano, io sia un signor Nessuno, con i tempi che corrono, è preferibile non risicare. Non posso permettermelo. Non ho una casa da 350 metri quadri con tanto di piscina, né cognati fratelli sorelle in posizioni di comando. E, se è per questo, neppure 1000 euro da regalare così, a buffo, per riempire le casse dello stato. Quindi shhh! shhh! shhh!


Non si dirà quindi che, come ci ricordano Bertoni e Revelli, nel loro Democrazia tradita, anche se scuola, lavoro e informazione sono i capisaldi di una democrazia compiuta, nessuno dei tre in Italia sembra in buone condizioni. L’informazione italiana, in particolare, «versa in uno stato comatoso». «Se pensiamo al fatto che sia la Rai che Mediaset, a livello di informazione, non stanno vivendo certo una stagione aurea, ci rendiamo conto che una lunga stagione del nostro Paese, segnata dal berlusconismo ma non solo, si è definitivamente chiusa». Ma quel che è peggio (forse!) è che neppure la politica è un granché. Lo dicono Bertoni e Revelli eh! Perciò shhh!, meglio non istigare una belva già ferita e morente. Qui, non se deve parlare!

Roberto Saviano - International Journalism Festival from Perugia, Italia, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

Non riprenderò neppure le parole di Giovanni Tizian riportate nell’editoriale, più autorevole del presente, sul «Domani», in cui, trattando proprio del processo contro Saviano, lo ha definito «una delle immagini più chiare della ferocia di questa estrema destra al potere, allergica alle critiche, pronta a tutto pur di battere l’avversario, trasformato in nemico da abbattere». Shhh! Non bisogna dire neppure che in nessun paese europeo un presidente del consiglio sognerebbe di portare in tribunale uno scrittore critico verso il governo; né che in Italia «i giornalisti hanno meno protezione dei loro colleghi in Germania, Inghilterra, Francia, Spagna». Shhh! che non si sappia che da anni chiedono «una normativa che tuteli dalle intimidazioni via giudiziaria. Ma figurarsi quale possa essere l’interesse di chi siede oggi sui banchi della maggioranza nel modificare la legge sulla diffamazione: sono i primi a proseguire con la guerra ai giornalisti che scavano perché non si accontentano della versione rassicurante delle veline di stato. Ministri, sottosegretari, deputati e senatori, minacciano costantemente querele, in alcuni casi le sporgono anche: ne sappiamo qualcosa a Domani, Mel*** (cesura mia!) ha querelato per diffamazione il nostro direttore, Emiliano Fittipaldi, per una notizia vera, esclusiva e documentata». Shhh!


Forse, però, potrei fare cenno ai recenti scontri con le forze dell’ordine durante i vari cortei di giovani e studenti, da Torino contro Colei che non deve essere nominata, a Roma in solidarietà per di quel Popolo verso cui non è bene essere solidali. Shhh! Vuoi forse essere considerato un terrorista? E poi potrebbe sembrare che si passi di palo in frasca.


Sì, se non fosse però che questi eventi sono divenuti casi mediatici, soprattutto quello di Roma i cui video delle aggressioni da parte dei caschi blu ai danni di ragazzi disarmati hanno fatto il giro dei social. Dunque media, stampa, ma anche informazione fai-da-te che «può essere ottima ma anche pessima e pericolosa» (Democrazia tradita). Per questo imbavagliare la stampa professionista non è mai cosa buona e giusta. C'è un legame tra le manifestazioni sfociate in rivolte contro il potere e i tentativi di questo potere di imbavagliare e intimidire stampa e intellettuali non allineati.


Immanuel Kant, che di censure ne ha subite, che guardava con simpatia alla Rivoluzione francese, stranamente, nei suoi scritti politici, si è sempre detto contrario al ricorso alla resistenza violenta come risoluzione, in una costituzione civile fondata sul diritto, alle contese con il potere istituito. Per non scivolare di nuovo – sostiene – in un primordiale stato di natura dove vigeva l’hobbesiano homo homini lupus.

Dipsey, CC0, via Wikimedia Commons

Tuttavia, nel suo scritto, Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica (1793), Kant ha proposto sì, l’obbedienza del cittadino, purché «sotto il meccanismo di una costituzione dello stato secondo leggi coercitive». Che è già una garanzia! Ma anche la necessità di salvaguardare «uno spirito di libertà, poiché ciascuno, su quanto concerne il dovere universale degli esseri umani, esige di essere convinto con la ragione che questa coercizione sia legittima». Perché ciò si concreti non si può fare a meno della «libertà della penna», cioè l’uso pubblico della ragione, la libertà di esprimersi senza censura di chi pensa da sé, la capacità – proprio perché si tratta di discussione libera – di regolarsi da sé tramite il confronto razionale. È una sfera pubblica, commenta in una Annotazione della curatrice, Maria Chiara Piavatolo, «a cui chiunque ha pari facoltà di partecipare, senza padroni che esercitino censure politiche o economiche. Una sfera pubblica nella quale sia effettivo quello spirito di libertà che, trascendendo la coercizione, dà sostanza alle ragioni del diritto».


Ed ecco il collegamento che si diceva. Kant è convinto del fatto che se, al contrario, un sovrano andasse proclamando che gli esseri umani, nella loro durezza, non meritano di essere trattati come soggetti di diritto, bensì vanno costretti con la forza; e facesse di questa forza la sua unica legittimazione, il popolo potrebbe prenderlo in parola, ribellandosi per fargli vedere chi è, in effetti, il più forte. Capita l'antifona?!


Quindi nessuno shhh! ha diritto di imporre il potere. Soprattutto alla stampa. Come ha chiaramente osservato anche Amartya Sen, pensatore indiano, premio Nobel per l’economia, nel suo libro, L’idea di giustizia, per garantire e salvaguardare la riflessione pubblica è fondamentale la presenza di media liberi e in buona salute in una democrazia sana, non limitata al mero esercizio pubblico del voto. La stampa infatti offre un contributo diretto alla qualità della nostra vita. «Ci sono ottime ragioni per comunicare gli uni con gli altri e comprendere meglio il mondo in cui viviamo. Perché ciò possa avvenire, la libertà di stampa è essenziale». La stampa svolge un ruolo informativo che favorisce la riflessione critica. Ha una «funzione protettiva, perché dà voce alle persone svantaggiate o trascurate». Il che può essere di grande aiuto per la tutela dell’essere umano.


Chi governa – spiega Sen – vive in una dimensione lontana dalle difficoltà della gente comune e può affrontare i loro “problemi”, senza condividerne la sorte. I media li espongono alla pubblica critica. Per cui, se «le elezioni hanno luogo in un paese in cui la stampa non è censurata, anche i governanti avranno un prezzo da pagare, e ciò costituisce per loro un forte incentivo a adottare per tempo misure necessarie per scongiurare situazioni crisi».

Amartya Sen - Fronteiras do Pensamento, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

Ma la parte rilevante è il ruolo che Sen attribuisce alla stampa nella formazione di valori, la quale per essere avveduta e svincolata da imposizioni esterne, necessita che comunicazione e dibattito si svolgano in modo aperto. La formazione di valori è un processo interattivo, la stampa favorisce le interazioni. E aggiunge: «Se una maggioranza è pronta a difendere i diritti delle minoranze, anche quelli di chi dissente o non si allinea, allora la libertà può essere garantita senza bisogno di porre limiti al principio di maggioranza». Ed ecco che una stampa libera, attiva ed efficiente che agevoli il necessario scambio dialogico, può ricoprire un ruolo centrale proprio per la promozione di valori di tolleranza e di giustizia. Le valutazioni necessarie a verificare lo stato della giustizia non sono da effettuarsi in solitudine. Per questo è necessario rimuovere tutti gli shhh!: censura, controllo della stampa, repressione del dissenso, messa al bando dei partiti di opposizione, incarcerazione dei dissidenti, manie di querela (ndr), insomma tutti quei modi di operare del moderno autoritarismo. La promozione della giustizia è uno dei maggiori contributi che l’idea di democrazia è in grado di recare.


Ecco perché è grave e pericoloso quanto sta succedendo in Italia, quanto è successo a Saviano e a altri intellettuali e giornalisti preparati e professionisti. Per questo dobbiamo supportare e augurarci che queste voci autorevoli non si lascino schiacciare dagli shhh!

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