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Del conflitto israelo-palestinese. Una "breve" rassegna stampa

Attenzione. Le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità. Ovunque, in questi giorni, si leggono queste parole che precedono video e reel con immagini di violenza e morte, grida, disperazione, che invadono i nostri social e urtano contro le nostre vite.


Sono rimasto profondamente e tristemente colpito, quando ieri, come di consuetudine, ho acquistato i miei soliti quotidiani, e mi sono ritrovato dinanzi ai dieci volti ritratti sulla prima pagina de la Repubblica degli israeliani ostaggi dei miliziani palestinesi di Hamas.

A eccezione di un’anziana donna, presumibilmente, Yaffa Adar, 85 anni, portata via dal kibbutz dove viveva, sono tutti giovani: ragazzi, a partire da Noa Argamani, 25enne, e un bambino. Giovani sorridenti, pieni di speranze, voglia di vivere. Mi hanno compito i loro volti, come le orribili immagini che circolano sui social, nei post, nei video, in tv. Donne, bambini, anziani, disabili catturati, per le strade dei villaggi, nei kibbutz o al raduno musicale che si svolgeva nel deserto, il Nova Music Festival, un rave-party organizzato nel kibbutz di Reim, a ridosso del confine con la Striscia.


Mi ha colpito l’immagine di Nicole Shanie Louk, la cittadina tedesca di 22 anni (anche lei al rave) trucidata dai miliziani, come si legge tra le pagine de Il Fatto quotidiano, e il suo «cadavere caricato su una camionetta ed esposto al pubblico ludibrio tra sputi e insulti.» Anche se, forse, è stata solo rapita e sul pick-up miliziano viene caricato il suo corpo tramortito. È ciò che spero unendomi al dolore della madre, Ricarda Louk, che in un appello dice di aver riconosciuto la figlia, priva di coscienza, in un video, insieme a un gruppo di palestinesi, a Gaza. Dalle foto che ho visto, Nicole ha i dread. Su La Repubblica si legge che «lavorava come tatuatrice, la madre l’ha riconosciuta proprio da un tatuaggio sulla gamba».


Ed è ancora Repubblica a riportare la storia di Vivian Silver, anche lei tra le persone rapite di cui non si hanno più notizie, nota attivista pacifista canadese-israeliana; e la storia delle figlie di Yoni Asher, Aviv e Raz (3 e 5 anni), di sua moglie Doron Katz-Asher, di sua suocera e il compagno. E ci sono le immagini di corpi senza vita di civili israeliani uccisi a Sderot dai miliziani di Hamas nel blitz di sabato mattina, come anche i corpi degli stessi militi, tra le macerie dei palazzi di Gaza da Tel Aviv, lungo la strada. Perché di morti se ne contano oltre 1000. Come scrive Vincenzo Bisbiglia, su il Fatto:

«Giovani, anziani, intere famiglie trucidate a colpi di kalashnikov. Per le autorità di Tel Aviv sono oltre 700 le vittime israeliane dell’offensiva che da 48 ore Hamas sta portando avanti in gran parte del territorio israeliano. Tantissimi sarebbero under 30. Mentre la risposta di Tel Aviv ha portato 500 morti nella Striscia. Ben 1.200 morti in 48 ore. Stando ai media israeliani sarebbero invece 700 anche i dispersi, che figurano tra i circa 100 ostaggi accertati».

Al rave, tra i giovani, in 250 hanno perso la vita. Ma anche dall’altra parte, come si diceva, con la risposta di Israele, i carrarmati e i missili di Netanyahu, le decine di edifici distrutti, si contano vittime:

«Tra i 500 morti palestinesi, una famiglia di 13 persone a Gaza tra cui 4 bambini. I combattimenti si sono poi estesi in Cisgiordania, con la popolazione civile in fuga. Ma l’“Operazione Tempesta” pare non sia terminata. La strategia di Hamas è quella di voler tagliare in due il territorio israeliano per accerchiare le truppe di Tel Aviv. E nelle colonie oramai si combatte vis-à-vis, coi fucili e anche a mani nude».
25th anniversary of Hamas celebrated in Gaza - Fars Media Corporation, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

«L’attacco terroristico di Hamas è inaccettabile» ha osservato Mattia Madonia su The Vision, che pure si considera sostenitore della causa palestinese. Non è però una contraddizione – conclude nel suo articolo, che vi invito a leggere per avere una visione chiara degli antecedenti storici di questo conflitto israelo-palestinese che dura oramai 75 anni – supportare i palestinesi, come gli ucraini, condannare Netanyahu, come Putin, riconoscere le malefatte di Israele e contemporaneamente condannare le azioni di Hamas. «Qual è il confine tra resistenza e terrorismo?» si chiede Mattia Madonia che fa un confronto tra la strategia di Fatah, la fazione socialista della politica palestinese, che fa parte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata in passato dal Premio Nobel per la pace Yasser Arafat e che ha riconosciuto il diritto a esistere dello Stato di Israele e quella terroristica di Hamas, secondo il cui statuto “non esiste soluzione alla questione palestinese se non nel jihād”.


Eppure, come anche si chiedono nelle pagine de La Stampa, Lucia Annunziata e Nathalie Tocci, non è stato un attacco sorpresa. «La parola più sentita nelle prime drammatiche ore dell’attacco brutale di Hamas è stata “sorpresa”. Ma è sorprendente questa recrudescenza del conflitto?» Le parole sono di Tocci nel suo articolo dal titolo "Non si vive in paradiso se intorno c’è l’inferno". Mentre Annunziata – che pure fa un’analisi della storia politica che ha preceduto «una delle peggiori pagine del conflitto Israele-Palestinese, pur denso di stragi» che Hamas ci sta regalando – osserva: «Parlare di sorpresa in queste circostanze, vuol dire sfuggire alla verità.» E poco prima: «Stiamo rapidamente precipitando verso un ignoto luogo in cui il mondo come lo conosciamo è in via di dissoluzione. E la guerra in Ucraina ha agito come accelerazione di questo processo».


No, non è una sorpresa. Hamas, questa organizzazione sunnita di estrema destra, considerata di stampo terroristico da gran parte della comunità internazionale, nasce nel 1987 dalle colpe originarie di Israele e dai diritti violati dei palestinesi. Da politiche scellerate, come quelle dell’Occidente e, in particolare, degli Stati Uniti in Oriente risalenti al 1979 con la nascita della Repubblica Islamica d’Iran. Hamas, scrive sempre Annunziata, «può fare quello che sta facendo perché agisce con la copertura di varie potenze mediorientali (soltanto?), la prima firma delle quali è l’Iran».

Il capo del protocollo americano Cam Henderson assiste il presidente Donald J. Trump, il ministro degli Affari esteri del Bahrein Dr. Abdullatif bin Rashid Al-Zayani, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro degli Affari esteri degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed Al Nahyan con i documenti durante la firma degli Accordi di Abraham martedì 15 settembre 2020, nel South Lawn della Casa Bianca. (Foto ufficiale della Casa Bianca Andrea Hanks) - La casa Bianca, Public domain, via Wikimedia Commons

E non si possono non ricordare gli accordi di Abramo, firmati nel 2020, da Israele con Emirati Arabi Uniti (EAU), Bahrein, Marocco e Sudan, con la mediazione dell’amministrazione Trump, che riportano in campo le tensioni con gli Sciiti (il regime religioso di Teheran). Annunziata parla anche del collasso dell’Impero Sovietico come accelerante decisivo dei conflitti in Medioriente, che ha creato un vuoto e che ha nutrito tanti altri pericolosi esperimenti politici.


Ed è ancora tra le pagine della Stampa che troviamo l’articolo di Francesca Manocchi, nel cui titolo ci porta dinanzi a una verità: Gaza ignorata! Il grande rimosso degli ultimi anni.

«Ecco perché le immagini del bulldozer che sabato ha sfondato le barriere di sicurezza israeliane ha una enorme potenza simbolica e avrà una lunga eco per la causa palestinese, nel mondo arabo e non solo, perché come dicono gli abitanti di Gaza contattati da la Stampa nella giornata di ieri, rappresenta “la prima vittoria e la resistenza all’occupazione”».

Mannocchi riporta le parole di Samy A.: «“La violenza dell’azione di Hamas era il solo modo per porre fine alla situazione a Gaza”»; e di Muhammad: «“Lo sapevano tutti che sarebbe successo prima o poi. Non si possono ignorare due milioni di vite in una prigione e pensare che saremmo stati passivi per sempre, che avrebbero potuto continuare ad umiliarci così”». Ma anche quelle durissime del quotidiano israeliano Haaretz: «“Netanyahu è responsabile” di questa guerra tra Israele e Gaza”» perché

«“non è riuscito a identificare i pericoli verso i quali stava colpevolmente conducendo Israele quando ha istituito un governo di annessione ed esproprio, quando ha nominato Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir a posizioni chiave, abbracciando una politica estera che ignorava apertamente l’esistenza e i diritti dei palestinesi”».

Tutto ciò, secondo Mannocchi, ha determinato la crisi dell’era Netanyahu, ha anche offerto l’opportunità ad Hamas di generare negli animi dei palestinesi frustrati e soprattutto delle generazioni più giovani, l’idea che «il gruppo armato appaia come il solo in grado di riportare al centro una questione troppo a lungo ignorata».

Benjamin Netanyahu - President.gov.ua, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

Questo mi conduce a due considerazioni. La prima è quella secondo la quale, per usare le parole del filosofo sloveno, Slavoj Žižek, quanto è accaduto dimostra che c’è un «eccesso strutturale del potere». Cioè, siamo dinanzi a un potere che genera nel suo seno il suo stesso eccesso. Non si tratta di sminuire il dolore delle vittime, né di far cadere su di loro le colpe, ma riconoscere che le responsabilità dipendono da chi ricopre ruoli di potere, e ciò dimostra che non ci troviamo semplicemente dinanzi a due entità politiche in opposizioni tra loro (un sedicente stato democratico e un’organizzazione fondamentalista e terroristica). Ma dinanzi a un unico Potere che, tramite le sue ideologie e azioni, ha generato il suo supplemento osceno, il quale per essere distrutto costringe a un’operazione che imita (e imiterà) ciò che viene combattuto. E non è forse questo – dato che il paragone viene ormai fatto da più parti – ciò che è successo prima e dopo l’11 settembre?


L’altra considerazione è forse più banale. Proprio in considerazione di tutte le vittime, ritornando ai volti dei ragazzi sulle pagine de La Repubblica, ai giovani trucidati al rave, ai morti per strada, a quelli dello schieramento opposto, ai loro diritti violati, si rafforza sempre di più una convinzione che mi balena in testa da bel un po', quella secondo cui proprio quel Potere, da troppo tempo, è in mano a bambini cresciuti, invecchiati senza mai diventare adulti. Chi ci governa detiene il potere e gioca con la vita delle persone, sulla nostra pelle, litigando per pezzi di terra e poltrone, come da piccoli si litigava per contendersi un giocattolo.


Banale! Lo so. Ma dopotutto non è forse banale il male che genera oppressione e vittime?


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