Meloni e Trump, tra sorrisi e ipocrisie
- Davide Inneguale
- 18 apr
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L’incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump alla Casa Bianca è stato, come previsto, un evento carico di simbolismi, dichiarazioni roboanti e non poca ipocrisia. Da un lato, Trump ha elogiato la premier italiana definendola “una persona eccezionale” e “uno dei veri leader del mondo”, sottolineando il suo “lavoro eccezionale” in Italia. Dall’altro, non ha esitato a ribadire posizioni che, nei fatti, lasciano poco spazio a un vero equilibrio tra le due sponde dell’Atlantico.

Meloni, con tono diplomatico e marketing istituzionale, ha difeso il “sistema Italia”, parlando di un Paese stabile e con un milione di nuovi posti di lavoro. Capire di quale Italia Giorgia Meloni parli è complicato, ma la propaganda fatta di dati falsi e gonfiati è condivisa dal Presidente Usa. Trump è stato invitato in visita ufficiale da Meloni, mostrando apertura a un dialogo franco, ma anche una necessaria dose di realismo politico: “Credo ci si debba parlare con franchezza e trovarsi a metà strada”.
L’ipocrisia della Premier emerge soprattutto quando Trump nega di aver definito gli europei “parassiti”, nonostante avesse precedentemente concordato con chi lo aveva fatto. Tuttavia, Meloni ha preferito evitare l’argomento e difendere l’alleato, sottolineando il rapporto “ottimo” tra i due Paesi. In tempi di equilibri globali fragili, l'Italia non può permettersi tensioni con Washington e la Premier questo lo sa bene.
Non sono mancati i temi caldi: Ucraina, difesa e commercio. Trump ha assicurato che l’accordo con l’Ue sui dazi si farà “al 100%”, e ha promesso progressi con la Cina. Meloni ha annunciato che l’Italia raggiungerà il 2% del PIL in spese militari, come richiesto dalla NATO. Un segnale chiaro a Washington e un passo che rafforza la credibilità internazionale del governo che finalmente prende parola nello scenario mondiale, seppur prostrato al volere Americano. Ipocrisie a parte, per l’Italia il confronto con il leader Usa resta fondamentale. In un mondo multipolare essere ascoltati da Washington è un grande vantaggio, ma dopo il bilaterale tra Meloni e Trump ha reso evidente chi è che muove le pedine del gioco, imponendo condizioni favorevoli per il nuovo continente.