Quando il giornalista Alexander Jakhnagiev, durante la conferenza stampa di inizio anno della Presidente del Consiglio, tenutasi ieri, 9 gennaio, ha chiesto a Meloni se "calpestasse le formiche", facendo riferimento ad un detto popolare, la Presidente ha risposto con una battuta, cercando di sminuire la domanda. Tuttavia, la domanda era tutt'altro che banale e di una spiccata sensibilità: evocava il tema delle politiche che sembrano penalizzare minoranze e oppositori, spesso percepiti come bersagli del governo. L'atteggiamento del governo Meloni verso le opposizioni e le fasce deboli richiede una riflessione critica, soprattutto in un contesto in cui le disuguaglianze continuano ad aumentare. La risposta di Meloni, volutamente ironica, non affronta il nodo centrale: il rapporto tra potere e vulnerabilità sociale. Le politiche adottate dal suo governo, come l'inasprimento delle pene per reati minori o il trattamento duro nei confronti dei migranti, evidenziano l’approccio punitivo di questo Governo verso le categorie più fragili, governo che però davanti al potere pare prostrarsi.
Se su questi "poteri" (per esempio Musk e Trump) dinanzi a cui il governo Meloni pare prostrarsi, ritornerò in un altro mio pezzo, vorrei qui concentrarmi sull’atteggiamento nei riguardi delle “formiche”. A cominciare dai migranti.
La Presidente infatti, durante la conferenza, ha dichiarato che i centri per migranti in Albania sono pronti e che la manovra è condivisa da altri Stati membri dell'UE pronti a fiancheggiarla. Inoltre, ha affermato che gli sbarchi in Italia sono diminuiti del 60% rispetto al 2024, dati confermati dal Ministero dell'Interno.
Sebbene la concessione degli sbarchi possa essere interpretata come un successo delle politiche migratorie, è essenziale analizzare le condizioni nei centri di accoglienza e valutare se il trasferimento dei migranti in Albania rispetta i diritti umani e gli standard internazionali. La gestione dei flussi migratori richiede un approccio equilibrato che coniughi sicurezza, solidarietà e rispetto dei diritti fondamentali.
C’è poi la situazione carceraria e le politiche penali. Meloni ha sostenuto la necessità di aumentare il numero delle carceri, ribadendo la sua posizione a riguardo in linea con la politica adottata dal suo governo. Questa posizione appare contraddittoria alla luce delle recenti riforme che hanno inasprito le pene per reati minori, spesso commessi da persone in condizioni di povertà, mentre sono state introdotte misure che limitano l'uso delle intercettazioni e depenalizzano reati tipicamente associati a individui più influenti come il reato d'ufficio.
Questa disparità suggerisce un approccio punitivo proprio nei confronti dei più deboli, mentre si mostrerebbe più indulgente verso i potenti. Una riforma del sistema penale dovrebbe mirare a garantire equità e giustizia per tutti, indipendentemente dal ceto sociale, evitando politiche che possano essere percepite come oppressive verso le fasce più vulnerabili della popolazione.
Credo che più che costruire nuove carceri, sarebbe necessario investire in programmi di riabilitazione, misure alternative alla custodia e, soprattutto, affrontare le cause strutturali della criminalità, come la povertà e l'esclusione sociale.
A questo si collegano il rapporto che deve sussistere tra forze dell'ordine e trasparenza. Il recente episodio di Capodanno, in cui un agente ha sparato a un uomo che aveva accoltellato cinque persone, ha sollevato il tema della tutela delle forze dell'ordine da parte della Presidente Meloni. La sua risposta ha fatto capire in modo chiaro la sua posizione, a mio avviso giusta, a difesa delle forze dell’ordine. Ma se gli agenti mettono a rischio anche la loro incolumità, penso che la proposta di dotare gli agenti di body cam, come in molti altri Paesi, sia una soluzione equilibrata: le body cam possono proteggere gli agenti da accuse infondate, al tempo stesso, garantiscono trasparenza nei confronti della cittadinanza.
Casi come quello di Corvetto, in cui Ramy ha perso la vita, mostrano quanto sia importante monitorare le azioni delle forze dell'ordine per prevenire abusi di potere, l'introduzione di tali sistemi non solo aumenterebbe la fiducia nei confronti delle istituzioni, ma sarebbe anche un importante deterrente contro comportamenti arbitrari, favorendo un'applicazione equa della legge.
Poco spazio è stato dato invece al genocidio in Palestina, la Presidente Meloni parlando della questione ha ribadito l'urgenza della liberazione degli ostaggi Israeliani da parte di Hamas. Se l'intervento più umano di Giorgia Meloni durante la conferenza stampa, è legato alla telefonata alla madre di Cecilia Sala; annunciando il suo rientro in Italia, ha mostrato un lato empatico e sensibile, la sua commozione ha sottolineato la capacità di connettersi emotivamente con la sofferenza di una madre preoccupata per il destino della figlia. Tuttavia, questo stesso lato umano sembra mancare nel contesto del conflitto in Palestina, dove migliaia di vittime innocenti – inclusi donne e bambini – subiscono quotidianamente violenze in uno scenario di genocidio.
La domanda sorge spontanea: perché una persona in grado di comprendere il dolore di una madre italiana non riesce a provare la stessa empatia per le madri palestinesi che piangono i loro figli uccisi o mutilati? Le immagini di bambini feriti, famiglie distrutte e comunità devastate in Palestina non evocano forse la stessa compassione e umanità?
Questa apparente disconnessione emotiva può essere spiegata, almeno in parte, da un calcolo politico e diplomatico. L'Italia, sotto la guida di Meloni, ha mantenuto una posizione saldamente filoisraeliana, giustificando le azioni di Israele con il diritto alla sicurezza e ignorando sistematicamente la sofferenza della popolazione palestinese. Tale atteggiamento riflette una strategia che privilegia le alleanze internazionali rispetto alla coerenza morale. Perché la sofferenza umana, quella delle “formiche”, non dovrebbe conoscere confini politici o ideologici.