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Il primo maggio sopravviverà all'intelligenza artificiale?

Il primo maggio sta per concludersi, insieme a tutte le sue liturgie laiche ed i suoi concertoni: quello ufficiale di Roma, e quello alternativo e più “incazzato” di Taranto; tra suoi sostenitori e detrattori, la ricorrenza ha rivissuto le commemorazioni sulle lotte e le battaglie, unite nel ricordo della Costituzione che ambiva ad una repubblica fondata sul lavoro.

 

Rimettendo in questa data il lavoro al centro, ciò che ancora resta ai margini dell’urgenza del dibattito corrente è il grande “elefante nella stanza”: l’intelligenza artificiale, o AI.

https://pixabay.com/it/illustrations/lavoratori-tecnologia-industria-5246640/

L’impatto dell’AI sul mercato del lavoro è talmente dirompente e rivoluzionario che il tema non è più sul se inciderà, ma quando e quanto questa tempesta perfetta impatterà.

 

Anche qui coesistono diverse scuole di pensiero: se da una parte, secondo un rapporto d gennaio 2025 del World Economic Forum, oltre il 41% delle aziende globali pianifica di ridurre la propria forza lavoro a causa degli automatismi generati dall’IA, è anche vero che recentemente il magazine americano Fortune ha ridimensionato, o per meglio dire reinquadrato il peso che le nuove tecnologie avranno sul mercato del lavoro.

 

Secondo il magazine infatti, non siamo nuovi a cambiamenti di paradigma che hanno pesantemente cambiato il lavoro, senza annullarlo. Dovremmo guardare quindi a questa sfida con fiducia più che diffidenza. Già con l’avvento della digitalizzazione, ad esempio, nel 2013 l’Oxford studies for humanity prevedeva un dimezzamento dei posti di lavoro nel mercato statunitense da lì ai successivi 10-20 anni. Dieci anni dopo invece gli Stati Uniti contavano 17 milioni di posti di lavoro in più.

 

La febbre da IA sta contagiando gli utenti finali e, in prospettiva, gonfiando i portafogli delle grandi aziende per le quali si prevede un incremento dei ricavi ed un taglio esponenziale dei costi del personale. Ma a chi pagherà il prezzo?

 

Il Goldman Sachs nel 2023 prevedeva fino a 300milioni i posti di lavoro persi o degradati per conseguenza dell’intelligenza artificiale. E per degradati qui si intende demansionati.

 

Se infatti i sostenitori spinti dell’IA stressano sul fatto che i lavori di per sé non diminuiranno ma sarà richiesto ai lavoratori (ed al sistema paese) di adeguare le loro competenze a dei nuovi skills richiesti da un mercato che cambia, allo  stesso tempo è sempre più evidente che anche le professioni più skillate ( e retribuite) sono ad un passo dalla debacle: broker di borsa, internet developers, agenti finanziari ed assicurativi saranno decimati dalla diffusione di algoritmi in grado di pensare più velocemente e senza errori rispetto agli umani, senza nessun assillo sindacale e contrattuale, ed inoltre con la capacità di autocorreggersi.


In estremo oriente le dark factories sono già una realtà: aziende prive di lavoratori con cicli produttivi h24 ed il cui rimpiazzo di robot al posto di lavoratori in carne ed ossa hanno già ridotto del 20% i difetti di produzione. Si tratta di aziende definite “dark”, oscure, proprio perché mancando lavoratori in carne ed ossa, possono tranquillamente lavorare al buio.

 

Certamente l’IA ha fatto fiorire molteplici nuove professioni, come gli umani che insegnano ai robot come essere sempre più umanoidi: dagli algoritmi creati per generare interazioni sentimentali rimpiazzando gli uomini nelle app di dating, fino a quelle che consentono di parlare coi defunti o a farsi confessare da Gesù. Presto l’algoritmo non avrà in effetti neanche più bisogno di questi lavoratori, che paiono intenti a lavorare nell’ottimizzare lo strumento che è destinato a togliergli il lavoro.

 

Sempre secondo Goldman Sachs se da una parte l’incremento della produttività avrà un impatto innegabilmente positivo sul Pil generale, comportando dei risparmi su figure quali personale medico-sanitario, designer, architetti, avvocati (che già oggi ricorrono a ChatGPT per le loro cause giudiziarie, con le conseguenze imbarazzanti di citare articoli inesistenti nell’Ordine legislativo), dall’altra parte si stima come solo negli Stati Uniti, secondo l’Ufficio nazionale di ricerca economica, siano stati dal 40 al 70% il numero di lavoratori manuali che hanno subito una perdita di reddito a causa dall’automazione.

 

Per vedere come la rivoluzione dell’IA impatterà sul lavoro basti pensare all’avvento degli acquisti online che hanno causato un totale disallineamento tra le tutele dei consumatori messe davanti a quelle dei lavoratori, esternalizzando produzione, concentrando i profitti e contribuendo al collasso del commercio di prossimità.

 

“Ma lo shop online ha fatto anche cose buone” tuonerebbe qualcuno, facendo risparmiare miliardi, complessivamente, a consumatori, aumentando il commercio mondiale; ma ha anche mostrato come aprire a nuovi mercati non significa automaticamente esportare qualità del lavoro, tutela dei diritti, dell’ambiente. Non esiste certezza alcuna che lo strapotere dell’IA, i cui algoritmi sono copyright nelle mani di pochi proprietari, sia moderato da un autocontrollo che tuteli la collettività. La storia molto recente dell’esplosione del web ci dovrebbe far riflettere di come il mercato, da solo, sia totalmente incapace di autoregolamentarsi.

 

L’IA creerà nuove opportunità, aumenterà la produttività generando nuovi profitti, quello che non farà sarà redistribuire questa ricchezza, garantire che il mercato del lavoro sia inclusivo e che tuteli i lavoratori e sarà responsabilità individuale e collettiva quella di riuscire ad adattarsi ad un ecosistema professionale totalmente diverso dall’attuale.

 

E se già ora in Italia appena il 62% della popolazione in età attiva è occupata (contro il 76% della media EU), e se, secondo i dati Eurostat, oltre un lavoratore su 10, che equivale a 5 milioni di cittadini, è povero, diventa improcrastinabile identificare una strategia nazionale urgente per governare lo tsunami dell’IA. A meno che non si voglia più semplicemente cambiare un sostantivo della Costituzione, riscrivendola in: “l’Italia è una repubblica basata sul consumo”.

 

E cosi il futuro del primo maggio appare non scontato: oscurata dall’algoritmo, in un futuro non lontano avrà ancora senso celebrare questa ricorrenza, se a scomparire sarà il lavoro? Quali tutele e quale etica applicheremo alla macchina? Paiono interrogativi astrusi ma la realtà, proprio come ChatGPT, potrebbe essere più rapida del pensiero umano. 

FONTI

  • Goldman Sachs Predicts 300 Million Jobs Will Be Lost Or Degraded By Artificial Intelligence;

  • Artificial intelligence: 41% of companies worldwide plan to reduce workforces by 2030 due to AI | CNN Business;

  • How many jobs will AI eliminate? Nobody really knows, and here’s why | Fortune;

  • The Rise of Dark Factories: China’s Fully Autonomous Manufacturing Revolution Thought Might;

  • Eurostat, in Italia povero più di un lavoratore su 10. Per 5 milioni difficoltà sulle spese minime - la Repubblica;

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