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I primi cento giorni di Trump: un potere senza rotta e il naufragio della democrazia

Non c’è peggior navigatore di chi non ha una meta. E i primi cento giorni di Donald Trump sembrano incarnare appieno questa verità. Un procedere a vista, caotico e rabbioso, che ha rimescolato gli equilibri globali senza disegno né visione. Fin da subito, Trump ha dato seguito alle sue promesse più controverse: dalla grazia concessa ai rivoltosi di Capitol Hill alla politica migratoria che divide il mondo tra chi può permettersi una “gold card” da cinque milioni di dollari e chi, invece, viene brutalmente respinto. Le immagini dei deportati in El Salvador raccontano senza bisogno di commenti: uomini inchiodati a terra, schiacciati sotto il peso di una nuova selezione etnica e sociale. In troppi, innocenti.

 

Non meno feroce è stato l’attacco alle università americane, cuore pulsante della ricerca mondiale: il caso di Mahmoud Khalil, studente di origine siriana pro-palestinese e legalmente residente, arrestato come fosse un nemico interno, è solo il primo segnale. In cento giorni Trump ha minacciato di tagliare i fondi pubblici agli atenei che non si piegheranno a una nuova ortodossia ideologica. Libertà accademica e spirito critico sacrificati sull’altare del controllo. Controllo delle menti e controllo dei mercati. I dazi annunciati, rimandati, poi riproposti, hanno fatto oscillare le borse mondiali come su un ponte traballante, fino a innescare un’inchiesta per aggiotaggio. E sul fronte internazionale il copione si ripete: pugni sul tavolo con gli alleati NATO, pretese economiche senza diplomazia, la vecchia idea,  mai così pericolosa, che il potere consista solo nell’imporre. Nel frattempo, il mondo intorno brucia. A Gaza, un genocidio consumato sotto lo sguardo complice del suo sodale Netanyahu. In Ucraina, i bombardamenti di Putin. In questo panorama desolato, Trump rilancia progetti visionari e sinistri: dall’idea di annettere la Groenlandia a un video musicale generato dall’intelligenza artificiale che immagina la “Riviera di Gaza”, una sorta di nuova Dubai, tra grattacieli e danzatrici, mentre la polvere delle bombe non si è ancora posata. In questi cento giorni, con Zelensky, ha poi mostrato il vero volto della sua politica estera: non una strategia di pace, ma una trattativa di affari dove il più forte detta le condizioni, senza pudore né prospettiva. Cento giorni sono bastati a Trump per costruire un modello di governo che si nutre di forza, di umiliazione, di imposizione cieca che non rappresenta solo uno stile personale, ma il sintomo di un disorientamento profondo, dove a smarrirsi non è solo la rotta politica, ma l’essenza stessa della democrazia.

The White House, Public domain, via Wikimedia Commons
The White House, Public domain, via Wikimedia Commons

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