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Rodari, il Pianeta degli alberi di Natale e la funzione progressista della fiaba

È forse da ottimisti ingenui e anche un po' da bambini, sperare, la sera di capodanno, in un mondo dove le parole "uccidere", "odiare" e "guerra" abbiano cessato di esistere? Forse non lo è per i bambini di Gaza o per i bambini ucraini. E non lo è stato neppure per il grande Gianni Rodari che, nel 1962, lo immaginò, forse lo sognò questo mondo, quando scrisse il Pianeta degli alberi di Natale, una fiaba da lui dedicata proprio «ai bambini di oggi e agli astronauti di domani».

edizione illustrata da Miguel Tanco Il Pianeta degli alberi di Natale
Edizione illustrata da Miguel Tanco

Si tratta di un pianeta dove tutti i giorni è Natale e dove ogni casa, strada e piazza è decorata da alberi illuminati, carichi di festoni, e luci e addobbi colorati. Ed è un bambino, di nome Marco Milani, romano, di Testaccio, che vi finisce quasi inaspettatamente, grazie a un cavalluccio a dondolo che gli ha regalato il nonno in occasione del suo compleanno e che, in una notte di ottobre, inizia un volo spaziale.

 

È su questo pianeta che le parole "uccidere", "odiare" e "guerra" sono state eliminate dai vocabolari. Non perché siano state censurate, ma perché, per i suoi abitanti, hanno cessato di essere praticabili, quindi prive di significato. E dopotutto su questo pianeta non esiste neppure un’autorità che imponga la censura. Anzi, i ministri che fanno parte del «Governo che non c'è» alla poltrona preferiscono di gran lunga dedicarsi a qualcos’altro di più produttivo, come risolvere problemi matematici.

 

Gli abitanti del pianeta infatti hanno imparato a essere autonomi, solidali e a godere delle proprie libertà pacificamente. Non solo autogestiscono la propria rabbia, sfogandola nel «Gran bazar Spaccatutto», una geniale invenzione, dove ognuno può rompere oggetti inutili, per tornare poi a essere felici e sereni per molti mesi o per molti anni. Ma, se esprimono le loro opinioni, le scrivono su muri appositamente allestiti, dove non restano per sempre e dunque non diventano queste opinioni mai mere estensioni del proprio ego ed egoismo a scapito degli altri, bensì restano un bene veramente utile per tutti.

 

Dunque su questo insolito pianeta non mancano l'inventiva, la creatività, chi prende iniziative. Solo che la gloria che ne deriva è anch'essa effimera. Chi risolve un problema, sempre a beneficio di tutti, viene riconosciuto con una statua di neve che non dura per sempre e che viene innalzata quando si è ancora in vita. Così sono effimeri i nomi che ciascuno può cambiare ogni volta che lo desidera. Infatti Marco, al suo arrivo, viene accolto da un bambino del pianeta, il quale ha scelto, all’occorrenza e in suo onore, il nome Marcus. E anche se si è sorteggiati per dare il proprio a una strada, ecco che quel riconoscimento non gli appartiene più.

 

È questo in effetti a sconvolgere di più l’ospite terreste (o sereniano, perché la Terra è chiamata il Pianeta Serena): nessuno possiede sul Pianeta degli Alberi di Natale, non vi sono proprietà, tutto è gratuito, i negozi sono senza vetrine, ognuno prende ciò di cui ha bisogno. «Pagare? – chiese di rimando Marcus. – Di nuovo questa parola. Qui non si usa, sai?» A Marco sembra come rubare. Ma non è così. Nessuno soffre la fame, tutto è commestibile, ciascuno può godere di una casa dove dormire, perché le case sono un bene comune. Tutti ne hanno diritto. Anzi tutto è casa su questo pianeta, gli abitanti indossano sempre pigiami e pantofole. E non si lavora. Solo chi vuole, se vuole, e quanto vuole, può farlo. Per il resto può trascorre il tempo liberamente, senza stress, coltivando talenti e qualità di ogni genere, sempre a beneficio di tutti.

 

A occuparsi di cucinare, di fare pulizie, di vendere gratuitamente sono i robot (quelli che oggi chiameremmo intelligenze artificiali). E solo perché anch'essi non appartengono a nessuno, non c'è un magnate, dall'ego smisurato, che li sfrutta per trarne profitto. Dunque non solo essi sono felici di farlo, ma in questo modo possono garantire agli abitanti piena libertà.

 

Quella di Rodari è sì, una fiaba per bambini, una vera e propria utopia e, chiaramente, con «una visione marxista del mondo.» Ciò nonostante, se guardiamo alla situazione globale attuale, a quanto sta accadendo sul nostro pianeta, a certe politiche autoritarie di nuovo conio, ad azioni criminali, guerrafondaie e genocidarie, incuranti del diritto internazionale e dei diritti umani fondamentali, non sembra forse di trovarsi in un altro espediente letterario e filosofico, cioè nella riproposizione odierna dello "stato di natura" di hobbesiana memoria? Dove vige la legge del più forte, quella dell’homo homini lupus, non solo a livello di rapporti individuali, ma anche tra Stati con pretese sovraniste: Kant definiva questo “stato di natura” un perenne “stato di guerra”. Anziché, garantire la pienezza dei diritti per tutti, per usare le parole del discorso di ieri di Sergio Mattarella, questi nuovi (ma sempre vecchi) soggetti politici strumentalizzano le istituzioni democratiche facendone una loro proprietà da clan e usano il loro potere, la loro esclusiva libertà d’espressione o d’azione come clave contro chi la pensa e vive diversamente.

 

Dinanzi a questo scenario, non è forse meglio l’utopia di Rodari? Dopotutto, come egli stesso scrisse nel 1970 su Paese Sera, dove ebbe modo di illustrare la funzione progressiva delle fiabe:

«Le fiabe sono alleate dell’utopia, non della conservazione. E perciò noi le difendiamo: perché crediamo nel valore educativo dell’utopia, passaggio obbligato dall’accettazione passiva del mondo, alla capacità di criticarlo, all’impegno per trasformarlo.»[1]
 

[1] G. Rodari, James Bond litigherà con il lupo cattivo?, in Paese sera, 11 dicembre 1970

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