Nei primi due mesi del 1939 quarantacinque omosessuali di Catania e di alcuni paesi della sua provincia furono arrestati e mandati al confino sull'isola di San Domino, Tremiti, a più di 700 km di distanza. In tutta Italia il regime fascista arrestò e mandò al confino centinaia di uomini la cui unica colpa era quella di essere omosessuali. Tra le varie province italiane, Catania spiccò per la quantità di arresti: il Questore della città, Alfonso Molina, si mostrò molto scrupoloso e ligio nella sua “caccia” agli omosessuali.
I 45 catanesi erano uomini tra i 18 e i 54 anni, arrestati con l'accusa di “pederastia passiva”, un reato contro il buon costume e l’integrità della razza. Furono sottoposti a visite mediche invasive che ne attestassero la colpevolezza e mandati tutti al confino a San Domino insieme a una cinquantina di omosessuali provenienti dal resto d'Italia. Il confino sarebbe dovuto durare 5 anni.
Gli omosessuali di Catania venivano chiamati in città arrusi, o jarrusi: negli anni ‘30 la parola arruso indicava l'uomo che in genere nel rapporto sessuale assumeva il ruolo passivo. Solo i passivi vennero arrestati, mentre chi assumeva il ruolo attivo non subiva alcuna persecuzione perché veniva considerato un “maschio”.
Gli arrusi, catanesi e non, rimasero confinati nell’isola di San Domino fino al 7 giugno 1940, quando vennero rispediti nelle loro città: con l'inizio della guerra le strutture dell’isola sarebbero dovute servire al regime per il confino di oppositori politici, considerati più pericolosi. La pena venne commutata in un biennio di ammonizione, durante il quale la vita degli arrusi non fu comunque facile.
In quel preciso momento ho capito che volevo raccontare questa storia con la fotografia. È una cosa che sui libri di scuola non viene mai menzionata
Quasi tutte le mie ricerche fotografiche riguardano o la Storia (in genere del '900), o le isole. Sono le mie due grandi passioni, almeno per il momento. A febbraio 2019 sono entrata in una libreria e come sempre sono andata nel reparto Storia, alla ricerca di libri che potessero darmi alcune idee per nuovi progetti. Ho trovato un libricino che si intitolava La citta e l'isola, e ovviamente l'ho subito preso in mano. Parlava appunto della storia degli omosessuali di Catania confinati durante il fascismo. In quel preciso momento ho capito che volevo raccontare questa storia con la fotografia, prima ancora di leggerlo. Poi leggendo il libro (di Giartosio e Goretti, che negli anni '90 sono riusciti a intervistare uno dei confinati ancora in vita) ovviamente non ho fatto altro che consolidare la mia idea di farne un progetto fotografico. Io non sapevo nulla di tutto questo prima di allora, non avevo neanche idea che gli omosessuali fossero stati perseguitati e poi confinati durante il regime fascista. È una cosa che sui libri di scuola (almeno 20/25 anni fa, ma mi dicono anche ora) non viene mai menzionata. Si parla sempre degli Ebrei, oppositori politici o qualche altra minoranza come i Rom, ma gli omosessuali non li ho mai visti citati tra i perseguitati. Catania poi è stato un caso eclatante da questo punto di vista perchè è stata la città con più arresti per pederastia passiva (l'accusa che veniva data agli omosessuali), con 45 arresti.
Non è semplicissimo raccontare una storia in cui i protagonisti sono tutti morti. Il più giovane dei confinati catanesi era del 1920, quindi anche volendo sarebbe stato difficile trovarlo in vita nel 2019. Per fortuna sapevo, grazie al libro La citta e l'isola che all'Archivio Centrale di Stato a Roma avrei trovato tutti i documenti riguardanti i confinati. Quindi ho deciso di andare avanti con la mia idea di documentare fotograficamente la storia.
Il mio problema principale è stato reperire i nomi dei 45 catanesi perché nel loro libro, Goretti e Giartosio fanno uso di pseudonimi, per motivi di privacy. Per un caso fortunato, un po' difficile da spiegare qui, sono riuscita a trovare in Archivio da sola tutti i loro nomi e una volta risolto questo grosso problema ho potuto consultare e fotografare le cartelle biografiche dei 45 arrusi. Nelle cartelle biografiche ho trovato tanto materiale, oltre alle loro foto, scattate al momento del fermo, ho potuto consultare i verbali di arresto, da cui ho ricavato tantissime informazioni sui luoghi che loro frequentavano a Catania prima di essere arrestati, i referti delle visite mediche a cui erano sottoposti per attestarne la pederastia passiva (in modo ovviamente discutibile e abbastanza arbitrario), le lettere che i confinati e i loro parenti scrivevano per chiedere la grazia.
A Catania ho cercato di fare foto quasi sempre di sera o notte perché era in questi momenti che gli omosessuali vivevano la clandestinità dei loro incontri
Grazie a queste informazioni, a Catania ho potuto fotografare i luoghi che gli arrusi frequentavano prima di essere arrestati e a San Domino ho fotografato i luoghi di confino. Da un punto di vista artistico a Catania ho cercato di fare foto quasi sempre di sera o notte perché era in questi momenti che gli omosessuali vivevano la clandestinità dei loro incontri, e invece a San Domino ho fotografato solo di giorno, perché era solo di giorno che i confinati vivevano l'isola mentre di sera erano costretti a stare nei cameroni, da cui venivano liberati solo al mattino seguente. Ovviamente sono stata a Catania e a San Domino varie volte e ho cercato anche di incontrare persone che in qualche modo conoscessero la storia e anche che avessero conosciuto qualcuno di loro sia a Catania dopo il confino o a San Domino durante il confino. Ho trovato in entrambi i casi persone che mi hanno raccontato alcune cose e che mi sono stati di aiuto. Poi ho fatto una ricerca anche su alcuni oggetti che potevano aiutarmi nel racconto fotografico, come per esempio uno speculum anale degli anni '20 che ho trovato al Museo di Storia della Medicina della Sapienza a Roma, e che verosimilmente si avvicina a quello usato per le visite mediche a cui i confinati sono stati sottoposti per attestarne la pederastia passiva, oppure la “carta di permanenza” (un libretto rosso) assegnata a ogni confinato italiano, e quindi anche ai nostri 45 catanesi, all'arrivo nella sede del confino, e in cui erano presenti tutti i dati del confinato.
Mi sembrava naturale concludere questa ricerca con qualcosa che rimanesse e quindi ho pensato subito a un libro: L'isola degli arrusi
Per fortuna ho scattato la maggior parte delle foto e soprattutto ho concluso la ricerca in Archivio prima del marzo 2020, altrimenti avrei avuto grossi problemi e ritardi. Durante la pandemia ho anche avuto tempo di trascrivere a computer tutte le lettere e i verbali di cui avevo scattato le foto in Archivio e questo è stato materiale prezioso per il confezionamento del libro sulla mia ricerca.
Nel 2022 ho deciso di autoprodurre il libro in 400 copie. Mi sembrava naturale concludere questa ricerca con qualcosa che rimanesse e quindi ho pensato subito a un libro. Nel libro si trovano le foto scattate a Catania, a San Domino, alcuni materiali di archivio, e nella seconda parte ci sono tutti i volti dei 45 omosessuali di Catania accostati alla trascrizione di una lettera o al verbale di arresto (in base a cosa fosse più interessante per ognuno di loro).
Come titolo ho scelto di usare L'isola degli arrusi, isola perché è stata la destinazione finale del confino, e arrusi perché come dicevo prima è il termine dispregiativo con cui venivano chiamati gli omosessuali in Sicilia soprattutto nel secolo scorso. Nella copertina del libro ho cercato di ricreare la forma e la grafica della “carta di permanenza”, il libretto rosso consegnato ai confinati italiani. Ho usato due tipi di carte, per la prima e la seconda parte e ho scelto una rilegatura particolare, brossura svizzera a dorso scoperto, per permettere un'apertura delle pagine quasi totale. Ho fatto tutto da sola: la grafica, la selezione delle foto e dei testi.
In Italia le questioni LGBT+ sono ancora messe troppo in secondo piano e al grande pubblico interessano poco
Quando ho deciso di portare avanti questo progetto speravo di poterlo diffondere il più possibile perché penso sia necessario conoscere la storia (tra l'altro molto recente e tutta italiana) per non ricadere negli stessi errori. Ma purtroppo fin da subito ho trovato una certa resistenza. L'ho proposto a tante riviste italiane, tra cui alcune che reputo molto valide, e che leggo tutti i giorni e settimane, e che pensavo potessero essere interessate a questa storia, ma non ho quasi mai ricevuto una risposta, neppure negativa. Niente. Devo dire che quasi nessuno mi ha risposto. Bastava anche un semplice “no, grazie”. Molte redazioni immagino non possano perdere tempo in risposte, lasciando sempre i fotografi (che comunque sono dei lavoratori, a loro volta molto utili) nel limbo, nella incertezza di sapere se la mail è stata letta o meno.
Ma finita questa piccola polemica sulle redazioni italiane, devo dire che la storia ha inizialmente avuto molto più riscontro all'estero. La prima mail che ho mandato a una redazione estera, tedesca in questo caso, è stata un successo, perché mi hanno pubblicato il lavoro subito. Poi sono arrivate anche richieste dall'Olanda, il National Geographic. E anche per quanto riguarda le mostre devo dire che l'Italia, in questo caso, salvo alcune piccole eccezioni, si è svegliata dopo che ho esposto il lavoro all'estero, in Canada, all'Istituto Italiano di Cultura a Montreal.
Da allora ho esposto il lavoro a Bologna, Reggio Emilia, Roma, Massafra, Cefalù e presto in altre citta. Purtroppo temo che in Italia le questioni LGBT+ siano ancora messe troppo in secondo piano e al grande pubblico interessano poco. Oltre che siamo un paese che non ha mai fatto i conti con il suo passato e in particolare con il ventennio fascista. C'è sempre un po' la tendenza a passare sopra a storie come queste. Ovviamente quando espongo il mio lavoro la prima reazione delle persone è quella dello stupore, tutti mi dicono che non conoscevano la storia e mi ringraziano. E io ne sono felice, è proprio quello che volevo.
Come dicevo è una storia sconosciuta ai più, e nel mio piccolo cerco di fare in modo che più persone ne vengano a conoscenza per avere una maggiore consapevolezza di ciò che è stato ed evitare che ricapitino cose simili in futuro.
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