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Il concetto di alienazione nel sistema hegeliano e nella filosofia marxiana

Uno dei termini centrali di tutto il panorama filosofico tedesco, soprattutto di quello idealistico e più tardi di tutto il post-hegelismo, è il concetto di alienazione. In tutte le varie visioni filosofiche, il termine assume una molteplicità di significati, il quale varia dalla logica oppositiva di Hegel sino a compiersi in quella più tarda, con il solo sostrato trascendente, alienazione religiosa di Feuerbach. Ma già la polisemia del corrispettivo tedesco dovrebbe già indicarci qualcosa. Entäusserung, Enfremdung e Veräusserung sono le varie sfumature linguistiche che tutta la filosofia tedesca adopera, con echi che risalgono addirittura agli scritti teologici di Martin Lutero. Se in Hegel il termine è riferito ad una opposizione prettamente gnoseologica e filosofica, ma comunque racchiusa all’interno della propria necessarietà sistemica, in Marx l’alienazione ha un significato prettamente pratico e che assume i contorni di uno stato di cose in palese contraddizione, ma comunque transeunte che abbisogna dell’azione collettiva affinché venga abolita.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Georg Wilhelm Friedrich Hegel

In Hegel il termine trova la sua più alta elaborazione all’interno della Fenomenologia, con una piccola (piccola per dire) anticipazione nella Differenzschrift. Questa prima anticipazione viene ripresa e fatta contenere nelle prime tre sezioni del testo del 1807, in cui ciò che è alieno è ciò che trovo in quel mondo oggettivo che intendo comprendere, ma che in prima battuta mi è completamente estraneo. Qui Hegel riprende il significato greco di alienazione. Αλλος è tutto ciò che è altro rispetto alla mia propria singolarità, costituito, questo altro, non solo dalla natura, ma soprattutto dall’uomo, il quale abbisogna della lotta, diversamente da Rousseau, per essere riconosciuto come persona: famosa è la dialettica servo-padrone della quarta sezione del testo. Questo altro, comunque, posso farlo mio, utilizzando quelle che già Kant chiama categorie dell’intelletto, che Hegel invece chiama forze, attraverso la pratica della rappresentazione. Ma in Hegel, al momento, questa pratica si rivela fallace e incompleta, dacché l’intelletto agisce sminuzzando il reale e non cogliendo la sua intrinseca totalità. Per Hegel l’intelletto non può cogliere l’intero - a differenza della ragione che in Hegel si pone come facoltà - perché non può comprendere la contraddizione in quanto tale, giacché lo guida una legge logica fondamentale, cioè il principio di contraddizione, il quale non riesce a tematizzare l’intero nella sua univocità, perdendosi in quella che Hegel definisce «la notte della totalità». Questa notte conoscitiva culmina in quella coscienza infelice, la quale rappresenta la rinuncia dell’intelletto a comprendere il suo oggetto, il quale tuttavia continua ad esserci e che si trasforma in ciò che è «inaccessibile al linguaggio». Accanto al significato di alienazione come opposizione, troviamo, sempre in Hegel, il significato di alienazione come estrinsecazione. Qui, diversamente da come accade nell’accezione precedente, ciò che risulta estraneo non è più il mondo ma sé stesso. Nella sesta sezione in cui la coscienza diventa storia ed esperisce le «grandi individualità» dell’epoca (potere feudale, potere monarchico e Dio), questa coscienza intende comprenderle e comprendendole diventare essa stessa tale. Ma, in questo modo, essa dimentica sé stessa sottomettendosi a questo universale oppure abbassando questo universale al proprio livello, dissolvendo l’assolutezza sia dello stato sia del divino. In entrambi i casi viene a mancare uno dei due termini della relazione e questo trova la sua rappresentazione più parossistica nella successiva figurazione fenomenologica, cioè nel terrore rivoluzionario, dove l’individuo eleva sé a volontà universale per eliminare l’individuo stesso.

Karl Marx -  Artistosteles, CC0, via Wikimedia Commons
Karl Marx - Artistosteles, CC0, via Wikimedia Commons

Significativa è la ripresa del concetto da parte di Karl Marx, il quale lo adopera in diverse opere, ma particolarmente ne Il Capitale. È lo stesso Marx che nei Manoscritti economico-filosofici dichiara di aver assunto da Hegel tale concetto, proponendosi per altro, com'è noto, di liberarlo dalle scorie idealistiche in cui si trovava avvolto. Per Marx l’alienazione è l’espressione di una società, quella capitalistica, quella che ci raccontano come la sola e unica possibile, ma soprattutto di un suo attore principale, il lavoratore salariato, cioè di quella figura che è condannata, gioco forza, a rispondere alle esigenze e all’accrescimento del capitale privato. Ma il suo essere alienato non è proprio e soprattutto dovuto a questo rapporto, ma all’oggetto merce che lui non controlla, ma che tuttavia manipola e produce. Marx dedica la prima sezione del suo Das Kapital (e qui mi limito alla sola prima sezione) al concetto di merce. Tale concetto si basa sulla lettura di alcuni economisti classici, come Ricardo e Smith, in base ai quali il valore di una merce è proporzionale al tempo di lavoro impiegato per produrre una data merce. Questa merce però risulta alienata dal produttore (lavoratore), indipendente, dacché il valore su cui si base la merce non è goduto da chi lo produce, ma da chi lo utilizza come forma produttiva privata. La merce così assume il carattere di feticcio, giacché prende vita nel momento in cui essa si separa dal suo creatore, valorizzandosi e svalorizzandosi nel mercato, ma dove la successiva remunerazione è goduta solo e a pieno dal padrone. Questo è il paradosso dell’economia di mercato denunciato da Marx, giacché se la merce e il suo valore rispecchiano la fatica e il tempo impiegato per produrla, il godimento di questo valore non è esperito da chi impiega realmente il tempo e la fatica, ma da chi “utilizza” a mo’ di salario questa figura nel privato. Ma Marx, da perfetto hegeliano quale era, da questa negatività, da questa croce, è possibile scorgere la sua rosa, il suo positivo. Ed è solo nella consapevolezza di questo “stato” che si acquista la tanto declamata coscienza di classe, in virtù della quale il lavoratore può ora sovvertire quel modo e mondo che lo ha condannato alla dipendenza.

 

Hegel e Marx non propongono lo stesso significato, ma condividono la fase transitoria dello stesso. Mentre in Hegel il concetto assume i contorni di una giustificazione filosofica e conoscitiva, dettata dal raggiungimento di un sapere assoluto, il che non vuol dire un “sapere tutto”, in Marx, contrariamente, il concetto perde il suo legame con l’astratto e l’ideale trasformandosi in concreto, e dalla consapevolezza di sé si passa alla lotta per sé, giacché i lavoratori del mondo non hanno nulla da perdere ad eccezione delle proprie catene.

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