La relazione con l’altro è un tema centrale nella filosofia, ma anche centro della mia riflessione filosofica, un argomento che ho esplorato in vari articoli, mettendo in luce come l’incontro con l’altro sia fondamentale per comprendere l’identità e il riconoscimento reciproco. Da un lato, mette in luce forme di violenza, visibili e invisibili, che emergono nel confronto con la differenza; dall’altro, è anche lo spazio in cui l’altruismo e la cura per l’altro possono manifestarsi, trascendendo l’egoismo individuale. La relazione con l’altro, per Hegel, si struttura inizialmente come un conflitto di riconoscimento.
Attraverso la dialettica servo-padrone, una delle sezioni più celebri e dense della Fenomenologia dello Spirito, Hegel descrive il processo con cui la coscienza umana arriva a un riconoscimento di sé, ma sempre in relazione a un’altra coscienza. Partendo dall’idea che la coscienza umana è sempre relazionale e non si riconosce come tale se non attraverso un confronto con l’altro, Hegel ci dice che questo confronto non è inizialmente pacifico, in quanto, di due coscienze che si incontrano, ciascuna vuole affermarsi come autonoma e indipendente. In una lotta esistenziale a morte in cui ciascuna cerca di sottomettere l’altra, entrambe le coscienze tentano di dimostrare di essere assolute, cioè l’una di non dipendere dall’altra. Tuttavia, apprendiamo che la morte di uno dei contendenti non è una soluzione, perché una coscienza morta non può offrire il riconoscimento di cui l’altra ha bisogno. Dunque, poiché la lotta non può portare all’annichilimento di una delle coscienze, emerge una nuova configurazione: una coscienza si sottomette all’altra per preservare la propria vita.
Nascono così le figure del padrone e del servo. Il padrone è colui che sembra vincere la lotta, che si afferma come dominante, costringendo l’altro a riconoscerlo; il servo è obbligato a lavorare per il padrone, soddisfacendone i bisogni e rafforzando la sua superiorità ed è colui che sembra perdere: accetta la propria sottomissione per evitare la morte. Tuttavia, è proprio in questa sottomissione che si creano le condizioni per un ribaltamento della situazione. Il padrone, che crede di aver ottenuto il riconoscimento di sé, ottiene un riconoscimento vuoto, perché non proviene da un altro essere libero e consapevole, ma da una coscienza sottomessa. Questa contraddizione rende la posizione del padrone insoddisfacente, poiché, nonostante il suo apparente dominio, la sua autonomia è incompleta, in quanto dipende dalla sottomissione del servo; mentre, la condizione di quest’ultimo, inizialmente vista come una perdita, diventa una fonte di emancipazione.
Nel processo del lavoro, infatti, il servo acquisisce una nuova consapevolezza di sé, in quanto, attraverso il lavoro, si confronta con la realtà materiale e impara a trasformarla, sviluppa competenze e una padronanza sulla realtà che il padrone, dipendente dal lavoro altrui, non possiede. A tale consapevolezza va aggiunta la paura della morte che il servo affronta durante la lotta iniziale, un’esperienza che lo rende consapevole della propria capacità di sopravvivenza e autonomia. Attraverso questo processo il servo raggiunge una posizione di forza perché attraverso il lavoro e la trasformazione del mondo può superare la sua condizione di sottomissione e giungere a una forma più alta di autocoscienza. Hegel ci mostra, così, come il dominio e la sottomissione siano dinamici proprio perché ogni relazione di potere porta in sé le condizioni per il proprio superamento e la dialettica servo-padrone rappresenta il paradigma sociale delle relazioni di potere nella storia umana. Essa mette a nudo una forma di violenza insita nella relazione, ovvero il tentativo di ridurre l’altro a un mezzo per affermare se stessi, mostrando come le relazioni di potere si costruiscano su una negazione dell’alterità. Una dinamica che sottolinea l’importanza del riconoscimento reciproco come base per una vera libertà, perché nessuno può essere veramente libero se riduce l’altro a un mero strumento. Ricordiamo P.Ricœur, che nel suo studio sul riconoscimento, evidenzia che l’altruismo è possibile solo quando si supera la logica del dominio. Per Ricœur, il riconoscimento reciproco implica accettare l’altro come un soggetto con pari dignità e non come un oggetto del nostro agire. Questo riconoscimento apre la strada a forme di solidarietà che vanno oltre il mero scambio utilitaristico, fondandosi su un’etica della cura e della condivisione.
Nella società contemporanea, la relazione con l’altro continua a oscillare tra violenza e altruismo. Il razzismo, il sessismo e altre forme di discriminazione dimostrano come l’altro venga spesso percepito come una minaccia, scatenando dinamiche di esclusione e oppressione. La filosofia ci invita a interrogarci su queste dinamiche, ricordandoci che la relazione con l’altro non è mai neutrale: è un luogo in cui decidiamo continuamente chi vogliamo essere. Come ci insegna Levinas, la risposta al volto dell’altro non è solo un gesto etico, ma una scelta che definisce la nostra stessa umanità.