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Saluti romani e silenzi di Stato: la scomoda eredità fascista in Italia

Ogni anno, puntuali come un rito, tornano le "commemorazioni" neofasciste: saluti romani, "presente!", bandiere della Repubblica Sociale Italiana. Puntualmente, ci si indigna. Ma a conti fatti, nulla cambia. Le forze dell’ordine osservano, raramente intervengono. Il governo tace o minimizza. Ma di cosa ci meravigliamo?

Manifestazione di CasaPound Italia a Bolzano - Pietro Chiocca, Public domain, via Wikimedia Commons
Manifestazione di CasaPound Italia a Bolzano - Pietro Chiocca, Public domain, via Wikimedia Commons

La verità è che il fascismo in Italia non è mai morto. Non solo sopravvive nella cultura politica e simbolica di una parte del Paese, ma ha avuto un ruolo attivo e funzionale nel dopoguerra, spesso protetto da chi avrebbe dovuto contrastarlo.

 

Nel 1974, Pier Paolo Pasolini scriveva: «Io so i nomi dei responsabili delle stragi. Io so i nomi dei responsabili del golpe (tentato o in atto). Io so i nomi dei responsabili delle trame nere e di quelle rosse… Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore che cerca la verità».

 

Con queste parole, Pasolini denunciava ciò che chiamava il "potere invisibile": una rete di connivenze tra apparati deviati dello Stato, neofascisti, servizi segreti e interessi americani. Un potere che aveva bisogno del caos per giustificare l’ordine autoritario.

 

Dopo la guerra, molti ex fascisti rimasero nei gangli dello Stato. Licio Gelli, legato alla RSI, divenne il Gran Maestro della loggia massonica P2, in stretta relazione con i servizi segreti e con ambienti atlantici. Fu la regia occulta della strategia della tensione, una serie di stragi (Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Bologna) realizzate da gruppi neofascisti come i NAR, Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale con coperture e depistaggi istituzionali. La P2 aveva forti legami con i servizi segreti italiani (SID, SISMI) e operava in sintonia con gli interessi statunitensi, nel quadro della Guerra Fredda, l’obiettivo era uno: impedire l’ascesa del Partito Comunista e trattenere l’Italia nella sfera d’influenza americana.

 

Pasolini non parlava solo da intellettuale, ma da testimone morale del tempo: «Il vero fascismo è quello che si serve della democrazia per distruggerla». Aveva intuito che il fascismo non sarebbe tornato con le camicie nere, ma sotto forma di potere "democratico" corrotto, cinico e impunito. Il 2 novembre 1975 Pasolini venne ucciso e la sua morte è uno dei misteri su cui si è deciso di non fare chiarezza.

 

Per questo oggi, quando vediamo quei saluti romani nelle piazze, ricordiamoci che non sono solo folklore. Sono l’eco di una continuità mai interrotta, tollerata e talvolta protetta. Finché non si farà davvero i conti con quella eredità, continueremo a indignarci, senza mai cambiare nulla.

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