top of page

La relazione educativa tra pensiero ed emozioni. Riflessioni per una scuola inclusiva, aperta a tutti

Immagine del redattore: Giovanna PaganoGiovanna Pagano

Apprendere senza pensare è tempo perso,

pensare senza apprendere è pericoloso

Confucio

 

Di una cosa sono fermamente convinta, ovvero che la “conoscenza” salverà questo mondo (insieme alla gentilezza e alla bellezza).

 

Ma questa conoscenza è davvero per tutti? Il sistema scolastico italiano permette a tutti di accedere alle “conoscenze” affinché diventino competenze, capacità di senso critico, autonomie di pensiero? Temo di no.

Sono una psicoterapeuta, ma nasco come psicologa scolastica e lavoro nella e per la scuola da quasi 15 anni e, ahimè, posso dire che la scuola, così come è non è per tutti.

 

Sia chiaro, le mie parole non vogliono gettare fango in maniera generalizzata, perché docenti che fanno il proprio lavoro con passione, coscienza, entusiasmo, dedizione e competenza ne ho conosciuti e ne conosco… ma la “scuola”, così come è pensata, non è per tutti.

 

Penso, in particolare modo ai “miei” alunni del cuore, a cui per 10 anni ho dedicato gran parte del mio tempo quando insegnavo ed ero “referente d’inclusione” presso il mio istituto, gli studenti con Bisogni Educativi Speciali, i cosiddetti alunni BES.

 

In questa macro categoria rientrano quegli alunni che, per le loro caratteristiche neuronali (ad es: alunni con Disturbo dell’Apprendimento - DSA), per le loro fragilità fisiche e ed emotive, per le loro fatiche comportamentali (ad esempio i famosi alunni con ADHD, ovvero con un Disturbo dell’Attenzione e dell’Iperattività) hanno necessità di un apprendimento personalizzato.

Per i tecnici della scuola o per chi un po’ mastica il linguaggio scolastico, la risposta a questi “Bisogni” si esaurisce nel famoso “PDP”: il Piano Didattico Personalizzato. Una serie di misure compensative e dispensative che sembra essere la cura di tutti i mali… ma questa è la vera INCLUSIONE?

 

Dico sempre ai docenti con cui ho collaborato negli anni e con cui collaboro, nei momenti formativi, che la vera Inclusione non si esaurisce nell’applicazione del PDP, ma nel pensare (e quindi fare) una lezione INCLUSIVA fin dall’inizio. Se in classe è presente, ad esempio, un alunno con dislessia, non ha senso spiegare solo leggendo un testo dal libro, ma sarà necessario integrare alla spiegazione una mappa e, magari dei video; se c’è un alunno con disturbo dell’attenzione, non si può pensare di spiegare oralmente, senza pause, senza un ancoraggio visivo o concreto. Potrei continuare all’ infinito con esempi del genere che, porterebbero ad un’unica conclusione: la didattica così com’è concepita, nella stragrande maggioranza, non è una didattica Inclusiva. La scuola per essere di tutti e per tutti necessita di una rivoluzione, di una ristrutturazione dei saperi: occorrerebbe approcciare ai saperi attraverso attività esperienziali, relazioni, emozioni, componenti queste, come dimostrano anche i recenti studi delle Neuroscienze che potenzierebbero e consoliderebbero il “sapere” non ai fini della verifica, dell’esame… quanto piuttosto per definire una cultura e un sapere che va oltre e che resta.

 

Uno dei massimi esponenti della psicoanalisi, Bion, parla di “apprendimento dall’esperienza” poiché il soggetto apprende e pensa a partire dalle proprie emozioni per mezzo di un iniziale aiuto di un’altra mente (quella della madre), la quale, fungendo da modello funzionale, trasmette al bambino la capacità di pensare, ovvero di acquisire una crescente capacità di riflettere sull’esperienza, di rappresentarsela, di trasformare le emozioni in contenuti mentali. Il processo illustrato da Bion, in particolar modo rispetto alla relazione madre-figlio, può essere utilmente ripreso per riflettere sui processi formativi, ed in particolare sulla relazione che caratterizza le aule scolastiche dove ci si auspica l’insegnante svolga una funzione parentale di contenimento ed elaborazione delle emozioni presenti nell’hic et nunc della relazione e legate ai processi di conoscenza. La capacità di pensare, infatti, dipende dal sentire e dal capire quello che ci accade dentro; si può davvero pensare solo se si è in contatto con le proprie emozioni ed è solo lo sviluppo dell’affettività e dell’emotività, la capacità di contenerla ed elaborarla che permette di pensare e apprendere. Non è possibile promuovere un apprendimento senza sapere che cosa succede emotivamente nel momento in cui si interagisce con quel determinato allievo, in quanto nell’intervento educativo le emozioni rappresentano il presupposto e il supporto dell’apprendimento cognitivo: non esiste apprendimento senza emozione e non esiste educazione senza coinvolgimento emotivo.

La “relazione educativa” non è riducibile al rapporto dell’alunno con l’oggetto del sapere o alla relazione fra l’alunno e l’insegnante, ma ciò che viene a formarsi è una rete di emozioni, affetti, simbolizzazione, pensieri, agiti, dove ciascuno è in continua relazione con l’altro e forse il segreto di una relazione educativa “inclusiva” sta proprio nel non considerare una singola trama della rete, quanto piuttosto cercare di collocarsi al suo interno e, in essa, aprirsi “senza pretese” ai possibili e probabili frutti che l’intreccio delle trame, inevitabilmente produrranno. È necessario che l’insegnante pensi la relazione piuttosto che agirla solamente, è necessario che la relazione educativa stessa sia una “competenza” dell’insegnante.

 

Ritornano in mente le parole del filosofo tedesco Hegel, in qualità di direttore di un ginnasio, che, inaugurando l’anno scolastico, rimproverò ai suoi colleghi una scissione tra cultura emozionale e cultura intellettuale, auspicandosi un’integrazione di questi due aspetti, per poter così promuovere una cultura rivolta all’uomo nella sua interezza: “Abbiamo ancora l’abitudine, ereditata da un’epoca passata, all’idea di scindere testa e cuore, il pensare e il sentire o, come tale distinzione altrimenti può venire definita, di considerarli quasi alla stregua di essenze di due specie diverse, indipendenti e reciprocamente indifferenti... Ma lo spirito umano, che è uno, non ospita in sé di fatto nature così diverse” (Hegel, 1810, pp. 63-64).

 

La scuola, dunque, in che direzione sta andando? Si mette in gioco, si osserva, si ascolta e si attiva per tutta la pluralità di bisogni che ha in essa? Guardando le proposte delle nuove Linee Guida del Ministero, purtroppo, sembra che si stia andando sempre più nella direzione opposta, in quanto piuttosto che lavorare sulla formazione di un “senso critico” (che sappia riconoscere il vero dal falso, il fazioso, le menzogne, la manipolazione) si punta alla Bibbia (con tutto rispetto per la religione, ma fino a prova contraria siamo in uno Stato Laico), all’introduzione del latino nelle Scuole Secondarie di Primo grado, ignorando tutti quei ragazzi che non hanno bisogno di una nuova grammatica, quanto di strumenti per gestire e studiare la lingua italiana e/o una lingua straniera e alle poesie a memoria, invece di educare all’esperienza emotiva della poesia stessa.

Unisciti ai canali

  • Instagram
  • Facebook
  • Whatsapp
bottom of page