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Verso un’Europa senza “cure”: la sfida contro le terapie di conversione

Un futuro collettivo contro pratiche inumane

 

Non un trattamento, ma una sconfitta della dignità umana. Le cosiddette terapie di conversione sono interventi psicologici, medici di stampo politico/religioso mirati a modificare l’identità di genere o l’orientamento sessuale di una persona non conforme all’eteronormatività e al binarismo. Il risultato è sempre lo stesso: danni emotivi, traumi, perdita di sé.

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Dedda71, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons

 

Un retaggio doloroso

 

Per decenni, l’omosessualità è stata considerata una malattia da curare: l'OMS l’ha declassificata solo nel 1990, e la disforia di genere ha perso lo status diagnostico nel 2019.

 

Queste “cure” hanno assunto forme diverse: dall’elettroshock alla psico-terapia coercitiva, passando per esorcismi e pratiche spirituali. Tutte condannate come “crudeli, inumane e degradanti” dagli esperti ONU oltre che per decenni da varie agenzie e associazioni per i diritti civili e umani.

 

Lo stesso Parlamento Europeo ha definito queste pratiche una negazione della libertà di espressione, che causa traumi irreversibili.


Bilancio nei Paesi UE: divieti parziali

 

Secondo il Parlamento Europeo, solo alcuni Stati hanno messo al bando queste pratiche: Malta, primeggia dal 2016, seguita da Germania (2020), Francia (2022), Belgio, Cipro e Portogallo (2023). Alcuni, come la Spagna, hanno divieti a livello regionale. L’Italia non è presente tra questi paesi.

 

La società civile mobilita: l’ICE “Ban on conversion practices”

 

Contro questo retaggio, nel 2023 è nata l’Iniziativa dei Cittadini Europei “Stop Conversion Practices”. Lo strumento dell’ICE permette a un milione di cittadini di almeno sette Paesi UE di chiedere ufficialmente un atto legislativo alla Commissione europea. A promuoverla è stata una coalizione di organizzazioni LGBTQIA+, tra cui ILGA-Europe e realtà nazionali, con un obiettivo chiaro: mettere fine, in tutto il territorio comunitario, a pratiche che alcuni Stati hanno già vietato ma in modo disomogeneo.

 

Il 24 gennaio 2024, la Commissione ha registrato l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) intitolata “Ban on conversion practices in the European Union” e per avere successo, servono 1 milione di firme raccolte in almeno 7 Paesi membri entro il 17 maggio 2025. Grazie a un’ultima spinta, in soli 10 giorni l’ICE ha superato il milione, toccando 1,2 milioni di firme. “I server della Commissione erano letteralmente sommersi” dice l’organizzatore Matteo Garguilo.

 

Il successo è stato trainato dal supporto di artisti come Angèle, seguita dal Presidente francese Emmanuel Macron e dal premier sloveno Robert Golob.

 

Istituzioni: parole forti ma poche leggi

 

Il Parlamento Europeo si era già espresso nel 2018, condannando le terapie di conversione e invitando i governi nazionali a vietarle con 435 voti favorevoli contro 109. La Commissione, più cauta, ha riconosciuto la necessità di un quadro comune, pur ricordando che sanità e diritti civili restano in gran parte competenze nazionali. Sul piano internazionale, il vento del cambiamento soffia con decisione: l’ONU le definisce “crudeli, inumane e degradanti”; il Canada le ha bandite nel 2021, seguito da Nuova Zelanda, India e diversi Paesi latinoamericani. Negli Stati Uniti, invece, la situazione è a macchia di leopardo, con divieti solo a livello statale.

 

Opinione pubblica ed Europa progressista

 

La raccolta firme ha trovato terreno fertile soprattutto tra le giovani generazioni europee, sensibili ai diritti LGBTQIA+. Le resistenze però non mancano: settori conservatori e parte del mondo religioso accusano l’iniziativa di ledere la libertà di credo o l’autonomia delle famiglie. Il dibattito resta acceso, ma la direzione sembra tracciata: la società europea mostra sempre meno tolleranza verso pratiche percepite come violente e retrograde.

 

Una battaglia di civiltà

 

Se l’ICE raggiungerà la soglia del milione di firme, la Commissione sarà chiamata a pronunciarsi. Non significa un divieto immediato, ma un passo decisivo verso un’armonizzazione delle norme. In gioco non c’è soltanto un diritto di minoranza: vietare le terapie di conversione significa affermare un principio universale, quello per cui nessuno deve essere “curato” per ciò che è. Una battaglia di civiltà che riguarda l’Europa, ma che parla al mondo intero.

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