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Atreju 2025: il volto “bello” della destra e la politica come scenografia accecante

Nel cuore di Roma, tra mercatini di Natale e piste di pattinaggio allestite nei giardini di Castel Sant’Angelo, si sta per concludere la quindicesima edizione di Atreju 2025, la grande kermesse politica di Fratelli d’Italia. Nato nel 1998 come raduno giovanile di destra, l’evento viene oggi venduto come un festival aperto, inclusivo e persino “popolare” – un’immagine di destra nazional-popolare che vuole apparire moderata e accogliente agli occhi degli italiani. Dietro le luci, le piste di pattinaggio e gli ospiti “pop” del mondo dello sport e dello spettacolo, emerge infatti una strategia chiara: presentarsi come l’alternativa civile e rassicurante ad altri soggetti sociali oggi in prima linea nel dibattito pubblico.

 

Colpisce subito un dettaglio tutt’altro che secondario: l’assenza quasi totale dei simboli di Fratelli d’Italia. Una scelta studiata per costruire l’immagine di un evento non partitico, apparentemente neutro, “di tutti”. La destra giovanile prova così a raccontarsi come comunità nazionale più che come forza politica, mentre mette in scena una normalità ordinata e rassicurante fatta di famiglie, dibattiti controllati e del celebre “bullometro”, chiamato a certificare la civiltà del confronto.

 

Ma questa “normalità” è solo scenografia. Nulla è neutrale, nemmeno l’allestimento di una sala dedicata alla “giustizia”, proprio alla vigilia del referendum sulla riforma: un segnale propagandistico evidente, nascosto sotto una patina di dialogo. Allo stesso modo, la presenza di figure istituzionali e persino del presidente dell’Autorità Palestinese serve a rafforzare l’immagine di apertura, mentre fuori dai padiglioni cresce il conflitto sociale.

 

In un Paese attraversato da scioperi e manifestazioni di studenti, lavoratori e sindacati che scendono in piazza – a volte con forti tensioni e disordini – contro le politiche del governo e in solidarietà con il popolo palestinese, Atreju lancia un messaggio implicito ma netto: noi siamo pacifici e responsabili, gli altri sono rumore, disordine, problema di ordine pubblico. È una narrazione che non risponde alle rivendicazioni, ma le delegittima per contrasto visivo e simbolico. Ma non si tratta di “bulli” o “teppisti”, come qualche voce di governo ama liquidare le proteste, bensì di persone – giovani, lavoratori, cittadini – che chiedono risposte su diritti, futuro e giustizia internazionale.

 

Ma la natura “delegittimante” del governo trova un segnale rivelatore nell’unica vera incrinatura che si è verificata nel meraviglioso mondo di Atreju: la reazione scomposta della Ministra dell'Università e della Ricerca, Bernini alla contestazione degli studenti di medicina: «siete solo poveri comunisti inutili». Una frase che vale più di mille discorsi: la ministra infatti restituisce l’immagine reale di un governo che fatica ad accettare il dissenso e lo vive come fastidio da zittire. La distanza tra la messinscena pacificata di Atreju e la pratica politica quotidiana emerge tutta qui.

 

A questa operazione estetica si aggiunge una memoria “breve” rimossa. Gli organizzatori della kermesse sono gli stessi che negli anni scorsi sono stati al centro di inchieste di Fanpage per apologie e simbologie fasciste e naziste nelle strutture giovanili. Nessuna reale epurazione, solo una ripulitura dell’immagine.

 

Eppure la realtà irrompe. Il successo dello sciopero generale di ieri, venerdì 12 dicembre, indetto dalla CGIL, dimostra che, come ha titolato oggi l’Unità, “non tutto è Meloni”; che molti italiani non credono a questa recita, che il governo ci sta raccontando “un Paese che non c’è”, che il conflitto non scompare perché lo si copre di glitter. Vengono allora in mente le parole di Marcello Mastroianni ne La Dolce Vita: «Io non ci credo a questo tuo amore aggressivo, vischioso, materno. Non lo voglio, non mi serve. Questo non è amore, è abbrutimento.» Parole che oggi sembrano pronunciate da chi manifesta, rivolte a chi si definisce cristiana e madre ma continua a usare toni aggressivi e divisivi. Perché l’immagine non basta. E la pace, se è solo messa in scena, resta propaganda ben illuminata, se non accecante.

La manifestazione Atreju 2023 - it:indeciso42, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
La manifestazione Atreju 2023 - it:indeciso42, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

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