La nenia anziana della superiorità occidentale
- Ilenia D’Alessandro

- 19 giu
- Tempo di lettura: 3 min
Ah, l’Occidente. Quel luogo magico in cui si fabbricano diritti umani a orologeria, si esporta democrazia con i droni e si crede ancora, con lo stesso entusiasmo di un boyscout al primo campo estivo, di essere il faro del mondo. Un faro che però (spoiler) illumina solo sé stesso, lasciando tutto il resto in penombra, giusto per mantenere qualche critica nel cassetto.
Partiamo dall’Africa. Quella vera, non quella dei safari e dei “poveri bambini con gli occhi grandi” che servono giusto a lavare le coscienze bianche tra un brunch e una maratona su Netflix. No, l’Africa post-coloniale, quella decolonizzata solo sulla carta, mentre economicamente e culturalmente resta ancora incatenata a un’idea di progresso cucita su misura europea. Perché, si sa, se non si sviluppa come vogliamo noi allora “è ancora molto arretrata”.
Ma l’Africa ha un enorme potenziale e fa progressi. Solo che ogni volta che prova a respirare da sola, arriva l’Occidente col suo deodorante culturale, pronto a “civilizzare” il continente. A colpi di G7 e ONG benintenzionate ma colonizzatrici, nonché influencer dell’umanitario che col cuore grande e il passaporto UE si mettono in posa smagliante per la prossima intervista. Nessuno che si chieda se davvero l’Africa abbia bisogno di essere “salvata”, o piuttosto lasciata libera di essere ciò che vuole, anche se quel “ciò che vuole” non rispecchia i criteri Lego della libertà occidentale, tutta fatta di blocchetti modulari da incastrare secondo istruzioni americane.
Poi c’è il Medio Oriente. Ah, quel magnifico puzzle geopolitico che l’Occidente ha prima smontato con entusiasmo, poi ricomposto con incompetenza e infine guardato inorridito perché “non funziona, accidenti!”. La superiorità morale occidentale si schianta, in diretta, ogni volta che si ignora l’apartheid israeliano, la colonizzazione dei territori palestinesi e le sue continue violazioni del diritto internazionale. Ma tranquilli: l’Occidente condanna con forza, si, ma a voce bassa, tra un cocktail e un trattato commerciale con Tel Aviv.
E se qualcuno o qualcuna osa sollevare obiezioni? È Antisemita. È il passe-partout. Non importa che si parli di genocidio, occupazione, attacchi militari, attacchi di pirateria (sì, pirati del mare), l’importante è non disturbare il grande spettacolo della democrazia selettiva. L’ipocrisia raggiunge il suo apice quando uno Stato sovrano come l’Iran – ago della bilancia negli equilibri diplomatici fra Russia, USA e Medio Oriente tutto – viene aggredito militarmente da chi poi si definisce “stato democratico con l’esercito più morale del mondo”. Nessuno si chiede più se violare la sovranità altrui non sia, per definizione, terrorismo. Basta il bollino “democratico” e tutto passa: dalla bomba al genocidio, allo sterminio di massa.
Nel frattempo, mentre si discute se l’Occidente debba o meno “esportare i diritti civili”, le persone LGBTQIA+ africane e mediorientali combattono su due fronti: da un lato i conservatorismi interni, dall’altro l’occidentalizzazione forzata che le fa percepire come infiltrate culturali. Non un sostegno ma un boomerang. Il progresso imposto puzza sempre di prepotenza. Perché non è vero progresso se non nasce da un’autodeterminazione autentica, dal riconoscersi prima di essere riconosciute. Ma questo l’Occidente non lo capisce. Lui vuole bandiere arcobaleno sulle ambasciate, non vera giustizia sociale e culturale.
E così, nell’illusione di esportare civiltà, si continua a calpestarla. Si promuove l’uguaglianza solo quando conviene, si difendono i diritti solo quando servono a vincere un dibattito su X e si parla di pace mentre si finanziano guerre. Tutto con la stessa naturalezza con cui si beve un cappuccino in centro.
Il mondo, invece, è sempre più multipolare e mentre l’Occidente si guarda allo specchio, convinto di essere il protagonista, altre e altri scrivono trame più complesse, più reali, e, diciamocelo, meno ipocrite.
La vera superiorità? Forse è saper convivere con la propria complessità senza volerla spacciare per perfezione.
Il tempo dell’arroganza bianca vestita da progresso è finito. Solo che l’Occidente, ignaro, continua a lallare la sua cantilena.






