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La democrazia e l’uso della ragione pubblica

Lo squallido spettacolo del «chi non salta comunista è», inscenato dalla destra, durante il comizio di Napoli, è stata l’ennesima riprova del suo tipico atteggiamento irrispettoso della storia e della tradizione politica e antifascista italiana, ma anche delle minoranze che pure dovrebbero essere rappresentate da un governo di maggioranza.


Una situazione aggravata dalle parole del vicepresidente del Consiglio che, nella stessa occasione, ha aggredito e insultato le famiglie omogenitoriali, definendole «vaccate», e gli stranieri residenti in Italia, che il ministro ha esortato a tornare nei loro paesi, solo perché né i primi, né i secondi si lasciano omologare ai valori e all’identità che egli dice di difendere. Esternazioni che mostrano anche quanto questo esecutivo, caratterizzato da un’irreparabile vuotezza di pensiero, sia privo di lungimiranza politica. Semmai fosse vero quanto si dice della sinistra, che cioè essa ultimamente non se la stia passando molto bene, non mi sembra che la destra che ci governa goda di buona salute.

Mi ha colpito l’espressione ripetutamente usata da Salvini per rafforzare le sue posizioni: «mai adozioni gay nel mio paese». Un aggettivo possessivo apparentemente innocente, ma che sottolinea quanto sempre questa destra consideri la cosa pubblica una sua proprietà e non uno spazio di convivenza di diverse identità e stili di vita. E si basa sull’erronea convinzione che basti ottenere la maggioranza dei voti per essere investiti del potere di delegittimare chi quella maggioranza non ce l’ha. Questo apre a due riflessioni collegate tra loro: la prima si chiede se una democrazia autentica non vada oltre al principio di maggioranza per essere aperta ai diritti delle minoranze (cosa non scontata); e la seconda, se sia sufficiente una democrazia intesa in termini solo di urne ed elezioni, anziché inquadrarla nella prospettiva più ampia del governo per mezzo del dibattito.

 

Già nel XVIII secolo, il marchese di Condorcet, un matematico francese, metteva in guardia dalla massima secondo cui «i pochi possono essere sacrificati ai molti». Una maggioranza inflessibile, priva di scrupoli a sopprimere i diritti delle minoranze porrà la società di fronte al dilemma se privilegiare il principio di maggioranza o garantire i diritti della minoranza. Lì dove, invece, solo la diffusione di valori improntati sulla tolleranza, sul riconoscimento e sull’inclusione, è l’elemento essenziale per il funzionamento del sistema democratico, il quale svolge un ruolo significativo nella prevenzione della violenza settaria. Soprattutto in quei contesti sociali in cui convivono diverse distinzioni comunitarie e che sono spesso un terreno fertile per coloro che intendono fomentare il malcontento e istigare alla violenza. E ho proprio l’impressione che le parole incendiarie pronunciate a Napoli, come anche in altre occasioni, vadano proprio in questa direzione. Ciò rende evidente il venire meno in politica dell’esercizio della ragione pubblica su cui dovrebbe basarsi un’autentica pratica democratica, non limitata alle sole procedure elettorali.

 

Non è necessario sopprimere apertamente il dibattito pubblico o la libertà di informazione. Basta svilire il primo, svuotandolo di significato, e delegittimare il secondo. Molti dittatori hanno ottenuto enormi successi elettorali senza bisogno di operare alcuna coercizione all’atto del voto.

 

Favorire invece una democrazia nella prospettiva più ampia del governo per mezzo del dibattito, della gestione partecipata della riflessione pubblica è prima di tutto salutare per le procedure elettorali e ci permette soprattutto di riconoscere i diritti delle minoranze come componenti fondamentali di questa forma di governo, pur non prescindendo dagli orientamenti della maggioranza. Una democrazia con processi politici inclusivi e interattivi, può tenere a bada il pernicioso fanatismo delle posizioni parziali e divisive. L’azione della demagogia settaria può essere sconfitta appoggiando valori di ampio respiro, tali da oltrepassare barriere e contrapposizioni. È di assoluta importanza, perciò, comprendere il carattere plurivoco delle identità di ciascun individuo.

 

La semplice esistenza di istituzioni democratiche, concentrata sul sistema elettorale maggioritario, non costituisce un’automatica garanzia di successo. Un sistema più attivo e dinamico può giocare una parte estremamente importante, adoperandosi affinché i problemi, le difficoltà e i risvolti umani di determinati gruppi incontrino negli altri una maggiore comprensione. Il successo della democrazia dipende dai nostri effettivi modelli di comportamento nonché dal funzionamento delle interazioni politiche e sociali. L’efficacia delle istituzioni democratiche, come quelle di qualsiasi altra istituzione, dipende dalla reale capacità dell’azione umana di sfruttare tutte le opportunità per dare vita a scenari adeguati.

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