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Sul piede di guerra, tra Teheran e Tel Aviv

A bordo della Madleen, salpata da Catania con rotta verso Gaza, viaggiavano la deputata francese Rima Hassan, l’attivista climatica Greta Thunberg e altri volontari provenienti da diversi Paesi. Il loro scopo? Portare aiuti umanitari a Gaza oltrepassando l’embargo israeliano. La barca non ha mai raggiunto la costa palestinese. In pieno Mediterraneo, e in acque internazionali, è stata abbordata dalla marina israeliana. I passeggeri sono stati trasferiti con la forza al porto di Ashdod, trattenuti per ore e infine espulsi dal Paese. Nessuna accusa formale, nessuna spiegazione pubblica. Solo silenzio istituzionale. Mentre molti governi evitano di commentare, alcune voci nel Parlamento europeo non esitano a denunciare l’accaduto come un “atto di pirateria” contro una missione civile.

 

Queste azioni segnano un’escalation che non si limita al blocco di Gaza. Il 13 giugno, Israele compie un passo che scuote l’intero Medio Oriente. Con un attacco aereo coordinato, vengono colpiti in simultanea diversi siti nucleari e militari iraniani: Natanz, Fordow, Isfahan, Teheran. Fonti internazionali parlano di operazione pianificata da tempo, con l’ausilio di droni, cyber-attacchi e sabotaggi interni. Le esplosioni causano decine di morti tra le Guardie Rivoluzionarie e gli ingegneri del programma atomico. Il governo israeliano definisce l’attacco “preventivo”, volto a impedire che Teheran acquisisca capacità nucleari militari.

 

Ma in risposta, Israele chiude le sue ambasciate in decine di Paesi. Il personale viene richiamato, i servizi sospesi. Roma, Londra, Berlino, Buenos Aires: sedi diplomatiche blindate o svuotate. Il ministero degli Esteri teme ritorsioni su scala globale. Non è solo una misura di prudenza: è un segnale del rischio imminente, tangibile, che il conflitto si allarghi ben oltre i suoi confini originari.

 

Poche ore dopo arriva la risposta iraniana. Dall’interno del Paese partono oltre cento missili balistici e centinaia di droni, diretti verso Israele. I cieli di Tel Aviv e Haifa si riempiono di luci, sirene e scie di intercettori. L’Iron Dome e i sistemi americani riescono a fermare la gran parte degli ordigni, ma il messaggio lanciato da Teheran è inequivocabile: non tutti i paesi sono più disposti a guardare in silenzio i crimini di guerra di Israele.

 

L’ONU convoca d’urgenza il Consiglio di Sicurezza. Le cancellerie si affrettano a invocare la calma. Ma le navi in fiamme nel Mediterraneo, i laboratori bombardati in Iran, le ambasciate chiuse in mezzo mondo e le esplosioni nei cieli sopra Israele raccontano un’altra verità: la crisi non è più diplomatica, è già militare, col serio rischio di una escalation globale. E mentre la politica si affanna a inseguire i fatti e a giustificare gli alleati, la spirale degli eventi mostra un mondo dove i civili attivisti, giornalisti, scienziati, ambasciatori diventano bersagli, e dove nessuna linea rossa sembra più invalicabile.

Mizan News Agency, Attribution, via Wikimedia Commons
Mizan News Agency, Attribution, via Wikimedia Commons


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