Nell’anniversario della liberazione di Aushwitz da parte delle truppe sovietiche, il 27 gennaio 1945, rendiamo solenne omaggio agli ebrei, e non solo, vittime delle deportazioni nei campi di concentramento: l’olocausto. Alle celebrazioni pubbliche, cittadini, associazioni e istituzioni, ricordiamo tutti l’orrore di ottant’anni fa, nel cuore dell’Europa, e ripetiamo con sentimento: Mai più deve avvenire una carneficina simile nella nostra democratica Europa!

Ci meravigliamo ancora di quanto fosse pianificato nei minimi dettagli, una gigantesca macchina di morte, una fabbrica modello di procedure disumane su scala industriale. Creato entro la cornice dell’ideologia della pulizia etnica, l’efficienza e la supremazia della razza ariana, dove la disciplina e l’obbedienza alle regole sostituiva ogni senso dell’etica professionale o personale. Tant’è vero che, al processo per crimini di guerra, al tribunale di Norimberga, il ‘tecnico’ nazista delle operazioni, si definiva “un semplice esecutore di ordini”.
Ma facciamo attenzione, perché se è successo una volta, come scrive Primo Levi, può accadere di nuovo. Infatti, il genocidio diventa la realizzazione di una certa dottrina, o principio cardine: la convenienza economica o politica può giustificare ogni azione, al di sopra dell’etica o della legge internazionale; la Sicurezza si ottiene aumentando le prigioni; la Difesa dei confini è sacra; la concessione dei diritti umani è del tutto arbitraria. Prese di posizione che si ritrovano, in modo inquietante, nella destre estreme, tra cui quelle che attualmente governano in sette Stati europei, fra cui l’Italia.
Anche oggi, a poca distanza da noi, è in atto da 16 mesi un massacro altrettanto diabolico, pianificato e disumano quanto fu la Shoah, ma questa volta con il pieno appoggio dei governi europei e gli Stati Uniti: lo sterminio del popolo palestinese da parte dello Stato di Israele.
Il 13 ottobre scorso la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, con la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, all’incontro con il primo ministro israeliano, Netanyahu, hanno espresso sostegno incondizionato a Israele, solo pochi giorni dopo il feroce attacco all’ospedale Al-Ahli di Gaza city e nonostante la persistente crisi umanitaria in Palestina.
Rimando al mittente ogni eventuale accusa di antisemitismo. Non ho niente contro il popolo ebreo, che, però, non si deve confondere con lo Stato di Israele, l’unico regime di apartheid del mondo occidentale, che sta agendo da carnefice a Gaza e annettendo i territori della Cisgiordania con brutale violenza. Non bisogna mai stancarsi di ripetere questa distinzione, tra gli ebrei in quanto popolo, che ha subito l’orrore della Shoah, e lo Stato di Israele e il suo governo attuale di estrema destra. Qui non ci devono essere equivoci. Altrimenti è gioco facile per i sionisti che governano in Israele vincere la partita bollando tutti i difensori della Palestina con l’accusa di antisemitismo.
Per chi, invece, nutrisse ancora dubbi sull’uso del termine “genocidio”, per la relatrice delle Nazioni Unite, Francesca Albanese, Israele sta commettendo di fatto un genocidio del popolo palestinese. Scrive nel suo Report (25/3/24) sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967: «Dall’analisi delle violenze e delle politiche di Israele nel suo attacco a Gaza, questo rapporto conclude che ci sono ragionevoli motivi per ritenere che la soglia per affermare che Israele stia commettendo un genocidio sia stata superata.»
Lo stato di Israele ha costantemente ostacolato il lavoro delle commissioni di vigilanza e d’inchiesta dell’Onu create di volta in volta, non ultimo il lavoro di Albanese a cui è stata negata la possibilità di entrare nel paese. I numeri del rapporto (agosto 2024) sono evidenti: 40.000 palestinesi sono stati/e uccisi/e, tra cui più di 13.000 bambini/e, 12.000 risultano dispersi/e, 71.000 persone hanno subito mutilazioni, il 70% delle abitazioni sono state distrutte e l’80% della popolazione è sfollata.

La comunità internazionale, adottando, nel 1948, la Convenzione sul genocidio, per la prima volta ha fornito una definizione strutturata del termine. Nello specifico, nel suo secondo articolo, la Convenzione stabilisce che
“[…] per genocidio s’intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:
a) uccisione di membri del gruppo;
b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo;
e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo a un altro.”
Nonostante questa inequivocabile giudizio da parte delle Nazioni Unite, ci tocca assistere alle cerimonie della Memoria delle vittime di ieri, senza sentire una parola in riferimento alle vittime palestinesi di oggi, la carneficina di cui il nostro Stato è anche complice sostenitore.