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Il caso Osama Almasri: tra atto dovuto e scelta politica

Immagine del redattore: Gianpaolo TrottaGianpaolo Trotta

Nelle ultime settimane, la vicenda del presunto scafista e torturatore Osama Almasri, trasferito con un aereo di stato a Tripoli, ha sollevato interrogativi profondi.

Osama Almasri è un generale libico accusato di reati gravi, contro di lui la Corte penale internazionale ha spiccato un mandato d'arresto per crimini di guerra e contro l'umanità commessi nella prigione di Mittiga, vicino a Tripoli, dal febbraio 2011. In quel carcere sotto il suo comando, secondo i documenti dell'Aia, sarebbero state uccise 34 persone, altre sono state torturate e stuprate, tra cui un bimbo violentato. Ma nonostante le gravi accuse, è stato "accompagnato" fuori dal territorio nazionale con modalità che sollevano più di un sospetto: il governo si difende sostenendo che il rimpatrio fosse obbligato, dopo la richiesta di scarcerazione da parte della Corte d’Appello, dovuta a un errore procedurale.


A seguito di ciò, in Italia si è aperto un dibattito sull’opportunità di tale atto, finché un avvocato con un passato politico controverso – prima nelle fila della destra, poi in quelle della sinistra – non ha scritto un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, la quale, nella figura del Procuratore Francesco Lo Voi, ha notificato l’atto alla Premier, che impropriamente lo ha definito un avviso di garanzia e lo ha identificato come un attacco politico alla sua persona, volto a rovesciare un governo democraticamente eletto; il Procuratore sostiene invece di aver seguito la procedura alla lettera e che la notifica sia un atto dovuto.


In risposta a ciò, dagli ambienti governativi parte l’ordine di scuderia: bisogna dire che non esistono atti dovuti, ma che ogni atto è sempre voluto.

 

A mio avviso tale tesi è inconsistente e contraddittoria e in termini di logica stretta rappresenta la volontà politica di favorire, con la scusa di un cavillo, un  uomo accusato di crimini gravissimi. Se l’atto dovuto è una mera finzione giuridica, allora ogni azione amministrativa contiene sempre un margine di discrezionalità, rendendo di fatto ogni atto "voluto".


Questa visione, tuttavia, rischia di svuotare di significato il concetto stesso di "dovere istituzionale". Se ogni azione può essere ricondotta a una scelta volontaria, viene meno il principio di obbligatorietà che dovrebbe guidare l'operato delle istituzioni. Inoltre, se ogni atto è voluto e non dovuto, allora il rimpatrio di Osama Almasri è una scelta politica precisa.

 

Chi ha operato questa scelta? A quale scopo preciso?  Perché un soggetto accusato di gravi reati internazionali viene trasferito con mezzi straordinari? Quali negoziati diplomatici hanno preceduto questa decisione? Quali interessi geopolitici possono essere coinvolti? Sono queste le domande a cui dovrebbero rispondere, invece di sfuggire al confronto, la Premier, Nordio e Piantedosi.

 

Attendiamo fiduciosi delle risposte chiare, con la speranza di fare luce su una vicenda tutt’altro che trasparente, non tanto sulla natura dell’atto, quanto sulla sua motivazione profonda.

 

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