Pride Month, intersezionalità e solidarietà con le comunità LGBTQIA+ in guerra
- Dario Codelupi

- 27 giu
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 1 lug
Giugno è Pride Month: storia, conquiste e sfide di un movimento globale
Il mese del Pride è, da sempre, un momento di celebrazione e di memoria: un’occasione per ricordare le rivolte di Stonewall del 1969, ma anche per riflettere sulle conquiste e sulle sfide ancora aperte per la comunità LGBTQIA+. Negli ultimi anni, tuttavia, il Pride ha assunto un significato ancora più profondo, intrecciando la propria lotta con quelle di altre minoranze e con i grandi conflitti internazionali che segnano il nostro tempo.

Lotte incrociate: l’intersezionalità come chiave di lettura
Il movimento LGBTQIA+ non è mai stato un blocco monolitico: la sigla stessa racchiude una pluralità di identità e rivendicazioni, e la coesione interna è ancora in costruzione proprio grazie all’alleanza tra soggettività diverse. Oggi, però, la sfida più urgente è quella dell’intersezionalità: riconoscere che la discriminazione non si basa solo sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, ma si intreccia con il razzismo, la disabilità, la povertà, la migrazione. Le alleanze con altre minoranze sono diventate parte integrante della lotta per la giustizia sociale: lo dimostrano le mobilitazioni comuni con il movimento Black Lives Matter e le campagne contro ogni forma di oppressione. Infatti, va sottolineato il potere del Patriarcato o, meglio, la sua capacità di dividere le minoranze e tenerle in lotta tra loro per un briciolo di diritto in più.
Come hanno influenzato le recenti lotte LGBTQIA+ il rapporto con altre minoranze in guerra
Le recenti lotte LGBTQIA+ hanno profondamente trasformato il rapporto tra il movimento e le altre minoranze coinvolte nei conflitti armati, portando a una maggiore consapevolezza intersezionale e a nuove forme di solidarietà globale.
Negli ultimi anni, il movimento LGBTQIA+ ha riconosciuto l’importanza di intrecciare la propria battaglia con quelle delle altre minoranze colpite dalla guerra, dall’occupazione e dalla repressione. Questa consapevolezza si è tradotta in prese di posizione nette contro ogni forma di guerra e violazione dei diritti umani, come dimostrato dal Pride di Torino 2025, dove si è ribadito il ripudio della guerra e la solidarietà con le popolazioni palestinesi, ucraine, afghane, curde e molte altre, sottolineando come siano proprio le persone più vulnerabili – tra cui le LGBTQIA+ – a pagare il prezzo più alto dei conflitti, oppure il gesto simbolico della cantante Rose Villain di sbandierare la bandiera Palestinese durante il Roma Pride dello scorso 14 giugno.
La guerra in Ucraina e in Palestina ha reso evidente che la discriminazione di genere e orientamento sessuale si aggrava in contesti di crisi: le persone LGBTQIA+ ucraine, ad esempio, sono costrette a fuggire da una doppia minaccia – la violenza bellica e l’omotransfobia – trovando spesso rifugio in paesi che non sempre garantiscono maggiore sicurezza. In risposta, sono nate reti di accoglienza e supporto specifiche, come quella di Lambda Warszawa in Polonia, che offrono rifugi e assistenza dedicata ai profughi queer. Allo stesso tempo, molti attivisti LGBTQIA+ hanno scelto di unirsi alla resistenza armata o di sostenere logisticamente le minoranze colpite dal conflitto, sottolineando come la lotta per la sopravvivenza sia anche una lotta per la dignità e la visibilità.
In Afghanistan, dopo il ritorno dei Talebani, la situazione delle minoranze LGBTQIA+ è precipitata: le associazioni sono state sciolte, la persecuzione è sistematica e la fuga è spesso l’unica via di salvezza. Anche qui, le reti internazionali LGBTQIA+ hanno cercato di dare voce e sostegno a chi rischia la vita, chiedendo che le persone queer siano riconosciute come categoria vulnerabile nei programmi di accoglienza dei paesi occidentali.
Questa nuova fase delle lotte LGBTQIA+ si caratterizza dunque per una forte dimensione intersezionale: il movimento si schiera apertamente contro la guerra, l’occupazione e ogni forma di oppressione, riconoscendo che la liberazione queer non può prescindere dalla liberazione di tutte le minoranze. La solidarietà non è più solo un principio astratto, ma si traduce in azioni concrete di accoglienza, denuncia e pressione politica internazionale, con l’obiettivo di riscrivere le narrazioni dominanti e sostituire il linguaggio della guerra con quello della cura e dell’autodeterminazione.
La situazione a Gaza
La situazione delle persone LGBTQIA+ a Gaza durante la guerra è estremamente grave e caratterizzata da una doppia vulnerabilità: quella dovuta al conflitto armato e quella derivante da una repressione sociale, politica e legale molto forte. La guerra ha aggravato ulteriormente questa situazione già drammatica. Secondo testimonianze di attivisti queer palestinesi, molte delle persone LGBTQIA+ conosciute a Gaza sono state uccise nei bombardamenti successivi al 7 ottobre 2023. In un contesto di totale assenza di tutele, la guerra rende impossibile per le persone queer trovare rifugio o visibilità: la paura di essere scoperti o denunciati si somma al rischio costante di morte o sfollamento forzato. Molte persone LGBTQIA+ palestinesi cercano di fuggire, legalmente o clandestinamente, verso Israele o altri paesi, nella speranza di trovare maggiore sicurezza e accettazione. Alcuni riescono a stabilirsi a Tel Aviv, dove le relazioni tra persone queer arabe ed ebree rappresentano, seppur in una situazione molto complessa, un raro esempio di dialogo e apertura interculturale. Tuttavia, la fuga non è sempre possibile e la maggioranza resta intrappolata nella Striscia, senza possibilità di aiuto concreto. A livello internazionale, la comunità LGBTQIA+ si è mobilitata per chiedere un cessate il fuoco e la fine dell’occupazione, denunciando anche il “pinkwashing”, cioè l’uso strumentale dei diritti LGBTQIA+ da parte di Israele per migliorare la propria immagine internazionale. Tuttavia, la realtà quotidiana delle persone queer a Gaza resta segnata da isolamento, invisibilità e rischio costante, aggravati dal conflitto e dall’assenza di reti di protezione interne.
In sintesi, essere LGBTQIA+ a Gaza durante la guerra significa vivere in una condizione di estrema precarietà e pericolo, senza diritti, senza tutele e spesso senza via di fuga, mentre la solidarietà internazionale cerca di tenere alta l’attenzione su una delle minoranze più esposte e vulnerabili del conflitto.
Perché il sostegno alle cause di autodeterminazione rafforza anche la solidarietà con le comunità LGBTQIA+ in guerra
Alcuni esempi di solidarietà attiva
Le mobilitazioni di Queers for Palestine hanno unito attivisti LGBTQIA+ globali nella richiesta di cessate il fuoco a Gaza, rifiutando la narrativa che contrappone diritti queer e liberazione palestinese.
In Moldavia, l’associazione Genderdoc-M ha creato rifugi sicuri per profughi ucraini LGBTQIA+, riconoscendo che la guerra aggrava le vulnerabilità preesistenti.
Reti internazionali hanno supportato persone queer afghane in fuga, evidenziando come l’autodeterminazione personale (scelta di genere, orientamento) sia inseparabile dalla liberazione collettiva.





