La responsabilità a gettone: il caso Almasri e il patriottismo di facciata
- Ilenia D’Alessandro

- 8 ago
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“La responsabile sono io.” Finalmente, direte. Una politica che si assume la responsabilità. Ma attenzione: non per un fallimento, non per un errore, non per una leggerezza. No. Giorgia Meloni rivendica con orgoglio la decisione di espellere Osama Almasri, criminale internazionale ricercato dalla Corte Penale Internazionale per torture, stupri e omicidi nei lager libici per migranti. Non un qualsiasi criminale, ma un comandante carcerario accusato di crimini contro l’umanità. Arrestato a Torino. Liberato dopo 48 ore. Imbarcato su un aereo di Stato. Rispedito a Tripoli. Tutto sotto la benedizione del governo italiano. Altro che “Stato di diritto”.

E mentre i magistrati del Tribunale dei Ministri chiedono il processo per Nordio, Piantedosi e Mantovano, Meloni si erge a scudo dei suoi. “Ho deciso io.” Perfetto. E allora ci spieghi, presidente: in che modo questa decisione rafforza la dignità nazionale? Perché lei, paladina della sovranità, quella che mette l’Italia prima di tutto, ha calpestato la nostra reputazione davanti al mondo intero. Ha preferito proteggere un boia libico piuttosto che rispettare un mandato internazionale. E tutto questo per cosa? Per non rovinare i rapporti con i “partner strategici” di Tripoli?
Questa non è sovranità. È servilismo di Stato. È la subordinazione dell’Italia a un governo libico che controlla metà territorio, gestisce prigioni illegali e tratta con trafficanti e milizie. Con chi stiamo firmando accordi migratori? Con gli stessi che proteggono Almasri?
Eppure Meloni si riempie la bocca con parole come “onore”, “orgoglio nazionale”, “interesse italiano”. Ma al momento di scegliere tra legalità e convenienza, ha preferito l’amico criminale al giudice dell’Aia. Ha preferito la diplomazia delle omertà alla giustizia internazionale. E questo sarebbe il governo dei patrioti?
Quando si tratta di bloccare i barconi, Meloni invoca l’unità europea. Quando l’Europa le chiede conto della fuga di Almasri, cala il silenzio. Quando si tratta di difendere l’onore dell’Italia nei consessi internazionali, nessuno si presenta. Quando però bisogna spiegare perché un torturatore è tornato libero, la presidente si prende la scena come una diva sotto i riflettori: “Ho fatto io.”
La cosa più tragica? Nessuno, nel suo governo, osa contraddirla. Tutti muti. Nordio, che dovrebbe garantire la legalità, tace. Piantedosi, che dovrebbe tutelare la sicurezza nazionale, firma. Mantovano, uomo dei servizi, fa da notaio. Poi, quando arrivano le accuse di favoreggiamento e peculato, iniziano i distinguo. Ma Giorgia no. Lei rilancia. Come se fosse tutto normale.
Normale non è. È gravissimo. È una vergogna per un Paese che ancora pretende di avere un ruolo in Europa e nel Mediterraneo. È uno schiaffo a chi ogni giorno lotta per la giustizia internazionale. È un favore fatto a chi non ne aveva diritto. E con un aereo pagato dai contribuenti. Ma si sa, per questo governo la legalità è una variabile negoziabile. Basta che nessuno disturbi il manovratore.
Il problema non è solo Almasri. Il problema è il modello di potere che Meloni sta costruendo. Uno Stato dove il leader si prende tutto il merito quando le cose vanno bene e tutta la responsabilità (a parole) quando vanno male. Salvo poi lasciare i suoi ministri a prendersi i processi.
Il patriottismo di Meloni è a geometria variabile. Serve a zittire l’opposizione, a infiammare i comizi, a vendere accordi con regimi semi-falliti come “scelte strategiche”. Ma quando si tratta di tutelare davvero la reputazione dell’Italia, scompare. Si piega, si adatta, si vende.
Alla fine, la narrazione resta impeccabile: “abbiamo evitato un incidente diplomatico”. Già. Ma ne abbiamo creato uno molto peggiore: abbiamo reso l’Italia complice della fuga di un criminale ricercato per crimini contro l’umanità. Non è forse questo, presidente, il contrario dell’interesse nazionale? Le belle parole sulla fermezza e sull’identità valgono poco se il primo che bussa con un passaporto utile se ne va libero. E addio giustizia.
Cara Giorgia, stavolta non si tratta di propaganda. Si tratta della reputazione di un Paese intero. E la verità è semplice: per non disturbare gli alleati libici, lei ha buttato sotto un aereo il prestigio dell’Italia. E adesso può anche dirlo ad alta voce: la responsabile è lei. Ma non si aspetti applausi.





