L'Italia lavora di più, ma vive peggio: il paradosso del potere d'acquisto
- Gianpaolo Trotta

- 16 set
- Tempo di lettura: 3 min
Squilli di trombe, rulli di tamburi, televisioni e mass media celebrano i dati sulla disoccupazione: 6%, mai così bassa da quasi venti anni, ai livelli del 2007. I numeri sono numeri e non mentono: rispetto a venti anni fa, trovare lavoro è indubbiamente più facile. Non finisce qui, ai successi del governo bisogna aggiungere un altro dato significativo, ovvero che oltre alla percentuale di disoccupazione che cala, anche i numeri dell'occupazione aumentano, e i telegiornali ovviamente lo sottolineano a reti unificate. Eppure, questa narrazione trionfale non mostra tutta la verità: mentre i posti di lavoro crescono, il potere d'acquisto si dissolve, trasformando il lavoro in una lotta per la sopravvivenza, con il tempo libero che appare un bene sempre meno fruibile e il risparmio una chimera.
Mentre la busta paga vale sempre meno, il divario si fa ancora più doloroso se tralasciamo un attimo la comparazione con il passato e ci confrontiamo con il resto d'Europa: i nostri stipendi sono tra i più bassi e il nostro potere d'acquisto è scivolato in fondo alla classifica continentale. Vera crescita economica, o crisi strisciante? La risposta politica che vari esponenti del governo propongono potrebbe sembrare efficace, ma in realtà nasconde un disegno ben preciso. Invece di affrontare la radice del problema – cioè la stagnazione dei salari base – si suggerisce un inganno su due fronti, volto a trasformare la ripresa in un'astuta forma di moderna schiavitù.

La prima risposta vorrebbe essere la detassazione degli straordinari. Apparentemente è un'opportunità: si guadagna di più lavorando di più. Ma è una trappola sottile. Se il tuo salario base non ti permette di vivere con serenità, sarai costretto ad accettare ore extra, a rinunciare al tempo libero, alla famiglia, agli hobby: lavorare di più, vivere meno, o anche vivere per lavorare anziché lavorare per vivere, riducendo la vita del lavoratore a una corsa estenuante per accumulare ore, non per ambizione, ma per pura necessità. Il guadagno aggiuntivo diventa una stampella, non un premio, e la fatica fisica e mentale è il prezzo da pagare per la sopravvivenza.
La seconda "soluzione", ancora più subdola, riguarda la proposta di anticipare la pensione in cambio della rinuncia al Trattamento di Fine Rapporto (TFR), come proposto dal leghista Claudio Durigon. Anche qui, a un primo sguardo, potrebbe sembrare un’allettante opportunità per i lavoratori ormai sfiniti e desiderosi di riposo, ma a ben guardare l'inganno è lampante. Chi è che arriva a desiderare ardentemente di smettere di lavorare a costo di sacrificare i propri risparmi? Un lavoratore stremato, spinto al limite dalla frustrazione e dalla fatica, il cui corpo e la cui mente non reggono più e così Stato e aziende risparmierebbero due volte: una non corrispondendo un aumento salariale significativo e la seconda non dovendo pagare un TFR, che ricordiamocelo, sono soldi dei lavoratori, accumulato nel tempo. Il lavoratore, ormai stanco e indifeso, cede ciò che gli spetta per un anticipo di riposo, illudendosi di aver scelto un'opportunità, quando in realtà è stato messo alle strette.
La verità è che queste politiche non puntano a migliorare la qualità della vita, ma a sfruttare la debolezza del sistema. Il paradosso italiano è questo: creiamo più posti di lavoro per un Paese in cui lavorare non basta più e in cui il lavoro è sempre più alienante e meno sicuro. Invece di investire in contratti dignitosi e salari equi, si preferisce offrire un surrogato che spegne lo spirito e svuota le tasche dei lavoratori, per poi indurli a cedere ciò che spetta loro di diritto.
La sfida che l'Italia ha davanti non può essere solo occupazionale, bensì quella di ridare dignità al lavoro e alle persone e ciò si può ottenere non con misure che ci spingono a vendere la nostra energia, il nostro tempo e i nostri risparmi in cambio di una finta sicurezza, ma con una seria politica salariale e una nuova, vera stagione di rinnovi contrattuali, per ridare ai lavoratori un orizzonte di vita in cui lavorare per vivere, per realizzarsi e progettare il futuro, non per sopravvivere.





