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Democrazie e dissenso: l’Italia verso lo sciopero generale

Immagine del redattore: Massimo BattiatoMassimo Battiato

Negli ultimi anni ci sono diversi segnali preoccupanti che proprio nel mondo occidentale gli spazi di espressione e manifestazione del dissenso si stiano riducendo. Le recenti discussioni sulla guerra in Ucraina, sulla situazione in Medioriente, sull’appoggio incondizionato alle politiche della NATO e di Israele, stanno confermando che la salute della democrazia tra i paesi che pretendono di esportarla non se la passi tanto bene. Certo, non siamo all’arresto dei giornalisti o degli intellettuali scomodi (anche se il caso Assange rappresenta un’eccezione non di poco conto), come succede nelle autocrazie e nelle dittature, semplicemente si cerca di marginalizzare ogni manifestazione di dissenso.

 

Ma anche quando le forze sociali riescono a mobilitarsi per manifestare il proprio dissenso dalle politiche di chi governa, regolarmente non vengono ascoltate. È successo per esempio in Francia durante le manifestazioni di protesta contro la riforma delle pensioni. Questa distanza sempre maggiore tra i rappresentanti eletti e coloro che dovrebbero essere rappresentati rischia di essere un grosso problema per le nostre democrazie.

 

L’Italia non fa certo eccezione. Questo governo si sta dimostrando piuttosto intollerante con il dissenso, soprattutto se arriva da settori politici e sociali considerati avversi, accomunati tutti in maniera sbrigativa come rossi o comunisti, compresi i magistrati che applicano e interpretano le leggi in maniera diversa dal comune pensiero delle forze di maggioranza. Il rischio è che anche il confronto con i sindacati che si mostrano poco allineati con le scelte politiche del governo segua questa logica. La linea della precettazione dei servizi pubblici seguita allo sciopero generale denota una scarsa attitudine al dialogo, perché la presunta sovrabbondanza di scioperi, a cui fa riferimento il ministro dei trasporti, dovrebbe essere il segno di una conflittualità irrisolta.

Democrazie e dissenso: l’Italia verso lo sciopero generale
Stefano Bolognini (Attribution o Attribution), da Wikimedia Commons

I sindacati confederali CGIL e UIL (la CISL da tempo si è sfilata da ogni tipo di logica conflittuale, con qualsiasi governo in carica) hanno da tempo proclamato lo sciopero generale per venerdì 29 novembre. I tavoli di discussione gentilmente concessi da questo governo hanno portato al nulla di fatto e la mobilitazione è stata confermata.

 

Le motivazioni dello sciopero sono legate principalmente alla scarsa attenzione data ai lavoratori dipendenti e pensionati, su cui grava il 90% delle entrate fiscali da reddito da lavoro IRPEF. A ciò si aggiunge una critica radicale alle politiche fiscali complessive di questo governo che penalizzano molto il reddito da lavoro, favorendo la rendita e strizzando l’occhio agli evasori, con una serie infinita di condoni, spesso mascherati per pudore con altri termini, come concordato fiscale o altro.

 

Si chiede inoltre di aumentare gli investimenti nei servizi e nel welfare, sanità, scuola, trasporti, etc, fortemente penalizzate dai tagli imposti dalla manovra che è totalmente allineata alle politiche di austerità imposte dalla Commissione europea a cui questo governo si è docilmente adeguato nonostante le promesse di sovranismo.

 

Infine, una rivendicazione forte sul tema dei salari, sempre più inadeguati al corso dell’inflazione, soprattutto per le categorie meno protette e per gli inadeguati aumenti salariali dell’ultimo rinnovo del Contratto del pubblico impiego che recupera una minima parte della perdita del potere di acquisto dei lavoratori pubblici. Legato a questo problema, la scelta, con la decisione di delegare al CNEL ogni sviluppo futuro, di rifiutarsi a prendere in esame seriamente qualsiasi proposta per istituire un salario minimo per legge, per combattere il fenomeno del lavoro povero. Non è certo una novità l’esistenza di una fascia sempre più consistente di lavoratori che con la loro prestazione non sono in grado di mantenere un livello di vita dignitoso al di sopra della soglia di povertà, o avere la possibilità di raggiungere una propria indipendenza economica, anche lavorando a tempo pieno. 

 

A queste solide motivazioni, il governo può rispondere solo con la proroga dello scudo fiscale, con ben pochi benefici sulla busta paga dei lavoratori, più un contentino, cioè un bonus natalizio di 100€ per i lavoratori con figli a carico. Veramente poco per rinunciare alla mobilitazione, ma soprattutto questi bonus fiscali, in un sistema in cui il 90% delle entrate fiscali sono a carico dei lavoratori dipendenti e pensionati, non sono a costo zero per i lavoratori. Le risorse necessarie per questi contentini vanno a discapito delle spese per il welfare. Così i soldi recuperati con questi sconti e bonus, si ripagano ampiamente con una riduzione dei servizi. Insomma, questi sconti fiscali se li pagano i lavoratori.

Democrazie e dissenso: l’Italia verso lo sciopero generale
Spi Cgil Emilia-Romagna, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Ora è indubbio che lo sciopero generale sia lo sciopero politico per antonomasia, non ci si mobilità per qualche tema specifico o per qualche rivendicazione di carattere economico contrattuale, ma si contestano le linee politiche del potere e le ricadute che hanno sulla vita dei lavoratori che i sindacati rappresentano.

 

E su quest’ultimo aspetto che si gioca la partita più dura. Non basterà ai sindacati una riuscita dello sciopero tra le fasce di lavoratori più sindacalizzati, la scommessa è che la mobilitazione sia veramente ampia per non dare al governo la possibilità di contestare la rappresentatività delle forze sindacali e affermare di essere loro stessi i veri portavoce del popolo dei lavoratori.


Una scommessa difficile da vincere per CGIL e UIL che mi sento di appoggiare perché sostenuta da sacrosante ragioni. I dirigenti sindacali hanno scelto la linea più dura e difficile da realizzare, ma la risposta scomposta del governo, con la precettazione di alcuni servizi pubblici, è segno che questo sciopero faccia un po’ paura?

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