Tregua a Gaza: una farsa e un grande affare
- La Nottola

- 6 giorni fa
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Tito Borsa
Si continua a parlare a sproposito di Donald Trump come il pacificatore. La tregua, o presunta tale, a Gaza doveva essere il primo passo per poi passare alla questione ucraina. Se qualcuno ci ha creduto, è stato un illuso.

Qualche giorno fa si sono contati cento raid israeliani a Gaza, con oltre trenta vittime palestinesi. Una reiterata violazione della tregua, con Israele che, dopo questa mattanza, ha annunciato che il cessate il fuoco era ripreso, insieme alla distribuzione di aiuti al popolo palestinese. Tel Aviv fa e disfa gli accordi con nonchalance.
Altro che tregua. La sostanza è che Israele continua a fare quello che gli pare, nella completa impunità, e gli Stati Uniti reggono il gioco, insieme a gran parte della politica europea. La domanda a questo punto sorge spontanea: perché Trump si trova in questa situazione? E, soprattutto, che cosa c’è sotto? La risposta è forse banale: soldi.
Gli Stati Uniti non sono mai stati interessati a una tregua vera a Gaza. Basti pensare che qualche settimana fa all’Onu è stata votata una risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza e per il rilascio dei prigionieri. E gli USA hanno posto il veto, mandando in fumo quella che poteva essere un’iniziativa molto più credibile del piano di Trump con l’inquietante e inaccettabile presenza di Tony Blair.
Che i famosi venti punti del piano di pace a Gaza, mostrati con grande eccitazione dalla Casa Bianca, fossero una farsa era già chiaro a tutti. Non ci sarà alcun tribunale per giudicare Benjamin Netanyahu, il suo governo e tutti coloro che si sono resi responsabili di questo sterminio, mentre il post-genocidio sarà gestito da Paesi esteri che detteranno le regole del gioco. Quei venti punti imporrebbero poi un disarmo a senso unico: Hamas dovrà deporre le armi, mentre nessuno chiede a Israele di fare altrettanto.
È una priorità israeliana, statunitense e anche europea che Gaza sia rasa al suolo e che il popolo palestinese venga decimato, magari anche allontanato dalla sua terra. Dobbiamo ricordarci che a 30 chilometri a largo di Gaza, 600 metri sotto il livello del mare, si trova Gas Marine, un grosso giacimento di gas naturale dal valore di miliardi di dollari. Si stima che lì sotto ci siano 30 miliardi di metri cubi di gas che più di qualche azienda occidentale vorrebbe prendersi. E Blair, guarda caso, da anni è un “consulente” per molte aziende e tra queste c’è anche British Petroleum. Un gigantesco conflitto di interessi e soprattutto un affare enorme per chi si aggiudicherà lo sfruttamento di quel giacimento.
Gaza, poi, dev’essere completamente rasa al suolo. Soltanto così si potrà passare alla fase 2, cioè alla ricostruzione da parte di aziende occidentali. Non è un caso che Italia e Germania, in prima fila per condannare il meno possibile l’operato criminale di Benjamin Netanyahu, siano anche tra i tanti in lizza per accaparrarsi parti del progetto di ricostruzione della Striscia. Stati Uniti, Germania e Italia che, nell’ordine, sono anche i principali fornitori di armi per Israele, rispettivamente con quote che si aggirano intorno al 66%, al 33% e all’1%. Questa fase 2 è stata svelata, forse involontariamente, qualche mese fa dal cancelliere tedesco Friedrich Merz che ha spiegato: “Israele fa il lavoro sporco per tutti noi”.
Proprio perché Israele “fa il lavoro sporco”, l’Occidente sta continuando a permettere al governo Netanyahu di fare qualunque cosa senza pagarne le conseguenze. Risulta abbastanza evidente che nessuna pace sia possibile senza la caduta del governo israeliano e senza giustizia per chi ha permesso, ordinato e messo in atto un genocidio. E questo, ovviamente, sia gli Stati Uniti che l’Europa lo sanno benissimo, ma non è un problema, visto che de facto non ci dovrà essere nessuna tregua, ma la distruzione di Gaza, che andrà ricostruita, appropriandosi delle risorse energetiche presenti e magari realizzando quell’oscena idea di un resort di lusso sponsorizzata da Trump alcuni mesi fa attraverso un video realizzato con l’intelligenza artificiale. Un polo hi-tech che possa ingolosire gli investitori stranieri. Così che, per citare il ministro israeliano Bezalel Smotrich, la ricostruzione “si paghi da sola”.





