Russia, il crimine di cercare la verità
- Dario Codelupi

- 30 lug
- Tempo di lettura: 2 min
Dal 1° settembre, in Russia sarà illegale anche solo digitare alcune parole. La censura digitale si fa legge e punisce la libertà di pensiero alla radice.

In un clima già fortemente repressivo, la Duma ha varato una nuova legge che segna un ulteriore passo verso il controllo totale dell’informazione: a partire dal 1° settembre 2025, sarà punibile anche la semplice ricerca online di contenuti giudicati “estremisti”. Tra questi, rientrano non solo riferimenti al movimento LGBTQIA+ o a ideologie considerate pericolose, ma anche figure storiche come Benito Mussolini e qualsiasi informazione che possa contrastare la narrazione ufficiale del Cremlino o permetta di sviluppare una qualsiasi tipo di pensiero laterale rispetto a quello imposto. La legge prevede multe per gli utenti che cercano determinati termini online, con sanzioni che, pur modeste nel valore economico, in euro equivalgono a 60, assumono un significato simbolico devastante. A essere colpita è la libertà stessa di pensare, informarsi, discutere.
Secondo quanto riportato da Reuters e dal Washington Post, il provvedimento estende il concetto di contenuto estremista a un campo così ampio e vago da comprendere interi ambiti del dibattito pubblico: diritti civili, critica politica, studi storici, tematiche di genere. Non si tratta più solo di censurare ciò che viene detto pubblicamente, ma di punire ciò che viene solo cercato — un salto di qualità inquietante nella strategia di controllo statale.
Parallelamente, l’utilizzo di VPN o strumenti per aggirare la censura sarà anch’esso sanzionato, criminalizzando l’accesso libero alla rete. Una misura che conferma la volontà del regime putiniano di chiudere ogni spazio di resistenza informativa e di isolamento digitale.
Non è la prima volta che il governo russo interviene contro i diritti di espressione: già nel 2023, il movimento LGBTQIA+ internazionale era stato dichiarato organizzazione estremista. Ora, con questa nuova norma, si compie un ulteriore passo: non è più solo l’attivismo a essere perseguito, ma l’interesse personale, la semplice curiosità intellettuale.
Preoccupa anche il consenso politico interno: sebbene la legge sia stata approvata, ben 67 deputati hanno votato contro e 22 si sono astenuti. Un segnale che, almeno in parte, la deriva autoritaria non è indolore nemmeno nei palazzi del potere.
L’effetto più profondo, però, riguarda la società civile. Punire le ricerche individuali significa inoculare il sospetto, costringere le persone a dubitare non solo di ciò che dicono, ma di ciò che pensano. L’autocensura diventa norma, la paura diventa strumento. E il confine tra cittadino e “sovversivo” si dissolve nella nebbia di una rete vigilata.
La nuova legge russa non è solo un attacco alla libertà di parola: è un attacco alla libertà di pensare. E per questo, riguarda tutti. Anche noi.





