Viktor Orbán, eletto primo ministro ungherese nel 2010, ha sovrainteso alla demolizione delle istituzioni liberali del suo paese per creare uno stato illiberale. Nell’aprile 2011, introduce la Legge fondamentale dell’Ungheria. L’obiettivo della nuova Costituzione è dichiarato nella «Professione nazionale» in cui si glorifica la fondazione dello stato da parte di santo Stefano, che «mille anni fa fece entrare il nostro paese nell’Europa cristiana». Riconosce «il ruolo della cristianità nella prevenzione della nazionalità» e si impegna «a promuovere e salvaguardare la nostra eredità». Segue la prima serie di articoli, uno dei quali recita:
L’Ungheria tutela l’istituzione del matrimonio come l’unione di un uomo e di una donna stabilita per decisione volontaria, e la famiglia come base della sopravvivenza della Nazione. I legami familiari devono fondarsi sul matrimonio e/o sui rapporti tra genitori e figli.
L’Ungheria incoraggia l’impegno a fare figli.
La protezione delle famiglie è regolata da un atto cardinale (legge organica).
Nella seconda serie, «Libertà e responsabilità», l’articolo II tutela la vita fin dal concepimento. Commenta Jason Stanley: «Il messaggio è che il patriarcato è una tradizione virtuosa del passato, la cui protezione dal liberalismo deve essere sancita dalla Costituzione.»
Orbán è uno dei leader politici che Stanley prende in considerazione nel suo How Fascism Work. The Politics of Us and Them, pubblicato nel 2018. Il testo, si evince dal titolo, tratta delle politiche che il filosofo ebreo americano definisce fasciste e che noi siamo soliti chiamare democrature. Caratteristica principale di queste politiche è, per Stanley, l’invocazione di un passato mitico e puro dal punto di vista religioso, razziale o culturale, oppure le tre cose insieme, a seconda di come si definisce la nazione. Ciò che le accomuna è che «in ogni passato mitico, che può risalire anche solo ad alcune generazioni precedenti, regnava su tutto una visione estrema della famiglia patriarcale». Tale passato, per la retorica ultranazionalista, «sarebbe stato cancellato, umiliato dalla globalizzazione, dal cosmopolitismo liberale e dal rispetto dei valori universali – per esempio l’uguaglianza – che avrebbero indebolito la nazione di fronte alle reali e minacciose sfide della sua esistenza».
Perché il patriarcato è strategicamente così importante? «In una società di tipo fascista, il leader è come il padre della famiglia patriarcale». Se la forza e il potere del padre di famiglia sono la fonte della sua suprema autorità morale su moglie e figli, per il leader, padre della nazione, forza e potere sono fonte della sua autorità legale. Il leader si prende cura della nazione come il padre della famiglia. L’autorità del padre di famiglia deriva dalla sua forza, e la forza è il principale valore autoritario. «Rappresentando il passato della nazione come fondato sulla famiglia patriarcale, le politiche fasciste associano la nostalgia a una struttura autoritaria gerarchica che trova la sua espressione più pura in queste regole». Per cui:
«i miti del passato patriarcale minacciato dall’invasione degli ideali liberali, e da tutto ciò che essi implicano, servono a creare un senso di panico di fronte al timore di perdere l’organizzazione gerarchica e la capacità, sia per gli uomini sia per il gruppo dominante, di proteggere la propria purezza dall’invasione straniera».
Il passaggio all’analisi del vittimismo è d’obbligo, perché, spiega Stanley: «comprendere le dinamiche di potere in una società è cruciale per valutare i processi di vittimizzazione». Quando si perde un privilegio, questo, in genere, causa una sorta di angoscia. Cresciuto pensando che gli uomini sono eroi e le donne oggetti che li adorano, potrei sentirmi privato del mio diritto di nascita nel momento in cui mi viene chiesto di considerarle come mie pari sul luogo di lavoro. «Rettificare disuguaglianze ingiuste è sempre doloroso per chi ha tratto beneficio da esse. E questo dolore sarà inevitabilmente percepito come oppressione.» La tattica delle democrature è sfruttare questo sentimento, nutrire un senso di dolente vittimizzazione nella maggioranza dei cittadini, indirizzarlo verso un gruppo che non ne è responsabile e promettere di alleviare il senso di oppressione, punendo quel gruppo: «il nazionalismo fascista crea dei pericolosi “loro”, contro i quali ci si deve difendere e che a sua volta bisogna combattere per ripristinare la dignità di gruppo».
Stanley fa riferimento all’opera di Kate Manne, Down Girl, in cui questo processo viene illustrato tracciando una distinzione tra patriarcato e misoginia. Il patriarcato è un’ideologia gerarchica che genera le aspettative irragionevoli di uno status elevato. La misoginia è, invece, quello che devono affrontare le donne quando vengono incolpate del mancato raggiungimento delle aspettative patriarcali. «La logica delle politiche fasciste – commenta Stanley – ha un vivido modello nella logica della misoginia descritta da Manne».
Tale logica si percuote sulle minoranze etniche e/o sessuali, considerate minacce alla virilità del patriarcato e della famiglia tradizionale perché minano la visione fascista della forza. Per le minoranze etniche,
«la minaccia usata per destare paura è quella che i membri del gruppo preso di mira stuprino quelli della nazione scelta, contaminando il suo “sangue”. […] La paura dello stupro è fondamentale per le politiche fasciste perché desta l’ansia sessuale, e il conseguente bisogno di protezione della virilità della nazione da parte dall’autorità fascista.»
Dato il periodo in cui scrive, Stanley osserva:
«Anche negli Stati Uniti stiamo assistendo a una “perdita delle facoltà logiche” di fronte a un bombardamento di una propaganda che associa gli immigrati allo stupro. Trump ha iniziato definendo gli immigrati messicani negli Stati Uniti “stupratori”.»
Sia chiaro, a scanso di equivoci, Stanley non sottovaluta il problema dell'aggressione sessuale o delle violenze subite dalle donne. Mette in evidenza però una politica dell’ansia sessuale, particolarmente efficace quando i tradizionali ruoli maschili, come quelli del capofamiglia, sono già minacciati da forze economiche. La propaganda fascista amplifica la paura sessualizzando la minaccia dell’altro e, poiché alla base di queste politiche c’è la famiglia patriarcale tradizionale, ogni devianza dal suo modello genera panico. In questo senso anche «i transgender e gli omosessuali sono usati per alimentare il panico e l’ansia per la perdita dei tradizionali ruoli maschili.»
Negli uomini, la mascolinità patriarcale genera l’aspettativa che la società concederà loro il ruolo di unici protettori e sostenitori delle rispettive famiglie. In tempi di estrema incertezza economica, i maschi, già in ansia per la minaccia al loro status costituita dalla crescente parità dei sessi, possono essere facilmente gettati nel panico dalla demagogia contro le minoranze sessuali. Le democrature – «le politiche fasciste» – distorcono deliberatamente la fonte dell’ansia maschile (guardandosi bene dall’affrontare le radici del disagio economico) e la trasformano nella paura che la famiglia sia minacciata da chi ne rifiuta la struttura e la tradizione.
Stanley prende in considerazione l’House Bill 2, tristemente nota come bathroom bill («legge dei bagni»). Varata nel marzo 2016 dall’Assemblea generale del North Carolina, la legge impone ai locali consigli scolastici di proibire l’utilizzo misto dei bagni, facendo in modo che i transgender usino quelli del sesso di nascita. Il dibattito si è concentrato sulla minaccia costituita dalle transgender nei confronti delle donne: «i fautori della legge hanno sostenuto che le transessuali sono predatrici sessuali», per cui firmare la legge significa proteggere le donne. In merito, Stanley cita Julia Serano che nel suo Whipping Girl scrive:
«In una gerarchia incentrata sul maschio, in cui si presume che gli uomini siano migliori delle donne e la mascolinità sia superiore alla femminilità, non c’è minaccia peggiore delle transessuali, che pur essendo maschi e pur avendo ereditato i privilegi dei maschi “scelgono” di essere donne. Abbracciando il nostro essere donne, gettiamo un’ombra di dubbio sulla presunta supremazia dei maschi e della mascolinità. Per alleviare la minaccia alla gerarchia di genere incentrata sul maschio e liquidandoci, la nostra cultura (in primo luogo attraverso i media) usa tutte le tattiche del suo arsenale tradizionalmente sessista per metterci al bando.»
Per Stanley, la tattica dell’ansia sessuale, adottata dalle politiche patriarcali e fasciste ha uno scopo preciso e non dichiarato: smantellare le democrazie. In una democrazia liberale un politico che attacca la libertà e l’uguaglianza non raccoglierebbe consensi. Con la tattica dell’ansia sessuale, aggira il problema in nome della sicurezza e senza renderlo esplicitamente chiaro, attacca e mina gli ideali della democrazia liberale, rappresentandoli, sia pure indirettamente, come minacce.
L’espressione dell’identità di genere o delle preferenze sessuali è un esercizio di libertà. Presentando gli omosessuali o le transessuali come minacce alle donne e ai bambini – e per estensione alla capacità degli uomini di proteggerli –, tali politiche mettono in dubbio l’ideale stesso di libertà. Quando alle donne viene concessa l’uguaglianza, il ruolo degli uomini come unica fonte di sostentamento della famiglia è minacciato. Evidenziare la loro importanza di fronte alle minacce sessuali contro mogli e figlie accentua queste sensazioni di ansia legate alla perdita della mascolinità patriarcale. Pertanto, la politica dell’ansia sessuale è un potente mezzo per presentare la libertà e l’uguaglianza come minacce, senza tuttavia contestarle apertamente. Una forte insistenza sui temi dell’ansia sessuale è forse il segno più vivido dell’erosione della democrazia liberale.