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Parlare di guerra: un antidoto al militarismo

Lorena, 18 agosto 2025

 

È bella la Lorena, con le sue dolci colline coltivate a cereali o a girasoli e i suoi boschi. Fa caldo, in questi giorni, ma l’aria è frizzantina al mattino. Non ci sono molte persone in giro; a differenza della vicina Alsazia, questa regione non attira molti turisti: men che meno dall’Italia.

 

Ci troviamo a pochi chilometri da Commercy: all’ufficio turistico ci spiegano che non è necessario arrivare fino a Verdun per vedere che cosa sia stata la Prima guerra mondiale e così organizziamo una gita seguendo i consigli che ci vengono dati e muovendoci al di fuori dei circuiti abituali.

 

La prima tappa è la foresta di Apremont, dove ci sono chilometri di trincee, scavate nel silenzio dei boschi, ora restituite alla Natura. I resti di un ospedale tedesco, dove venivano accolti i feriti prima di essere trasferiti in vere e proprie strutture sanitarie, ci ricorda immediatamente cos’è la guerra: dolore fisico, rischio della propria vita, mutilazione.

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Una piccola targa tra le trincee riporta queste parole: Non ho la minima paura dei proiettili o delle granate, temo solo la grande solitudine interiore, ho paura di perdere la fede nell’umanità, in me stesso, nel bene che esiste nel mondo (Franz Blumenfeld ottobre 1914).

La guerra ferisce soprattutto nell’anima.

 

Poco distante c’è un minuscolo paese, Marbotte, con una deliziosa chiesina: alcuni cartelli avvisano il visitatore che fu utilizzata come deposito dei cadaveri dei combattenti prima della sepoltura. Le pietre del pavimento sono intrise del loro sangue. Guardo rapidamente le lapidi commemorative di cui è tappezzata la chiesa e una in particolare mi colpisce: In memoria del mio amato e rimpiantissimo figlio, Louis Chevalier, sottotenente del 134º reggimento di fanteria, legione d’onore, croce di guerra, scomparso nella foresta d’Apremont il 10 ottobre 1914, all’età di 23 anni. Lo strazio di chi ha perso un figlio giovanissimo, in cambio di una croce, mi fa venire le lacrime agli occhi.


Cimitero militare di Marbotte
Cimitero militare di Marbotte

Fuori dalla chiesa c’è un sentierino: un cartello indica un cimitero di guerra provvisorio. All’inizio non capiamo: il cimitero militare si trova al di là della strada, lo abbiamo visto arrivando, tante piccole croci ordinate su un prato curatissimo. Un pannello esplicativo però spiega che in quel luogo furono inumati i soldati durante il conflitto, poi furono esumati, restituiti alle famiglie o collocati nel sacrario attuale. Guardiamo meglio: il bosco conserva, a distanza di un secolo, le tracce di quelle prime sepolture: semplici avvallamenti nel terreno. La guerra è soprattutto morte e lascia segni che il tempo fatica a cancellare.

 

Nel pomeriggio, visitiamo il forte di Troyon, gigantesca opera difensiva mimetizzata sotto metri di terra, datata Belle époque, teatro di sanguinosi combattimenti durante la Grande guerra: ora la bandiera tedesca sventola dolcemente al sole, a fianco di quella francese. Un anziano signore ci fornisce i biglietti e una piccola guida. Esploriamo il sito, affascinante nella sua imponenza, ricco di reperti dimenticati per decenni.

 

Una cosa mi colpisce particolarmente: a causa di un’esplosione, il 23 settembre 1914, numerosi soldati rimasero sotto le macerie. Diciotto di loro riposano ancora lì, ad indicare dove, ci sono due bandiere e una croce… Di nuovo risuonano le parole di De André… Chi diede la vita ebbe in cambio una croce.

 

La Lorena, come la Normandia, è una gigantesca necropoli: tante piccole croci in cambio di altrettante giovani vite strappate ai propri vent’anni.

 

Forte di Troyon. Luogo dove ancora giacciono 18 soldati... cimitero nazionale
Forte di Troyon. Luogo dove ancora giacciono 18 soldati... cimitero nazionale

Penso con orrore che ultimamente, in tutta Europa, si ricomincia a parlare di educazione militare: penso con preoccupazione ai miei figli e ai miei studenti, alcuni dei quali sono inclini a lasciarsi sedurre dal militarismo.

 

Luoghi come quelli che ho visitato oggi echeggiano un monito preciso: la guerra è dolore del corpo e dello spirito, è mutilazione e morte. Guerra significa essere strappati alla propria vita e affrontare l’orrore. Credo che questa consapevolezza fondamentale dovrebbe precedere e nutrire qualunque ragionamento, nel momento in cui si valutano gli strumenti per dirimere le controversie tra i popoli.

 

Dobbiamo spiegare ai nostri ragazzi ciò che noi abbiamo appreso dall’esperienza dei nostri nonni: la guerra è un trauma, personale e collettivo, non è argomento da affrontare con leggerezza. Parliamo loro di questo, perché li riguarda, perché coinvolge loro più che noi: i più vecchi non sono chiamati a uccidere e a essere uccisi. I cimiteri della Lorena, come quelli della Normandia, sono pieni di giovanissimi. Educhiamoli a saper capire se e quando vale la pena di dare se stessi in cambio di una croce in un bel prato, a fianco di migliaia di altre piccole croci.

 

Come adulti, non dobbiamo esimerci da questo: parlare con i giovani è sempre doveroso, ma lo è più che mai su argomenti come questo, affinché non tocchi anche a noi, in futuro, apporre una targa commemorativa, in una piccola chiesa, per ricordare un nostro figlio scomparso combattendo.

Bandiere francese e tedesca sul forte di Troyon
Bandiere francese e tedesca sul forte di Troyon

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