Le catene della Storia
- Maddalena Pareti

- 11 lug
- Tempo di lettura: 3 min
La frase “Il ritorno della Storia” riecheggia spesso nelle voci di politici e cittadini, come se l’Europa si fosse illusa di aver preso una pausa dalle tragedie che questa materia porta con sé.

L’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia ha colto di sorpresa i cittadini europei, che percepivano gli echi di conflitti attraverso le pagine dei quotidiani o dei servizi televisivi, confondendo un presente violento, ma ritenuto lontano, con il passato del Vecchio Continente, ancora intriso del sangue della Seconda Guerra Mondiale. Un passato di cui i popoli conservano il ricordo, ma non la memoria viva.
I cellulari sono diventati gli occhi attraverso cui si osservano i dolori di guerre percepite come distanti dalla quotidianità. L’interesse si accende quando l’osservatore può ergersi a giudice supremo delle passioni umane, le stesse che hanno spinto i popoli a scontrarsi per poi, talvolta, incontrarsi.
“Come possono esistere ancora guerre nel 2025?” è la domanda che si pongono le persone spaventate, forse incapaci di ammettere di aver volutamente ignorato che, oltre la propria routine, qualcuno si appellava alla violenza per inseguire un disegno di grandezza, dipingendosi come un Messia.
Putin si presenta come il continuatore della Storia russa, promettendo di riportare una Kiev sottomessa e mutilata sotto il dominio del grande racconto che la Russia costruisce di sé, come se fosse una favola della buonanotte con cui Mosca si illude di essere un impero in ascesa, anziché un paese in declino. Netanyahu assicura al popolo di Israele che il martirio di Gaza e la distruzione del programma nucleare iraniano porteranno pace e prosperità alla Terra Santa, invocando il divino per giustificare le tragedie di cui è responsabile. Sono leader che scelgono di legare i loro nomi a drammi umani pur di essere ricordati nei libri di Storia, come se la loro missione potesse sottrarli al destino comune di ogni essere vivente: il confronto con la morte.
Gli europei, intorpiditi dal nichilismo capitalista, osservano con sgomento le dinamiche belliche, che li costringono a confrontarsi con pulsioni dimenticate, con una violenza che non riconoscono, ma di cui l’umanità è stata protagonista per secoli. Su questa violenza sono stati costruiti palazzi, nelle cui stanze si decidevano i destini di migliaia di persone in nome della Storia, della memoria, della gloria. O del delirio di onnipotenza che colpisce chi, posseduto dal potere, crede di poter usare i corpi dei cittadini per dominare stati, risorse e popoli.
“Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo”, scriveva Voltaire. Talvolta, la realtà, o chi cerca di plasmarla, confonde il divino con il mortale, vagando nella Storia del presente per porsi come protagonista di vicende epiche, rendendosi però il più schiavo tra gli schiavi.
De Gregori ha cantato “la Storia dà i brividi perché nessuno la può fermare”, consapevole che gli esseri umani sono prigionieri delle proprie emozioni. Queste emozioni scrivono le imprese di molti sotto il nome di pochi, rendendo la Storia nient’altro che la sceneggiatura dell’umanità su questa terra.
L’attualità ci ricorda che l’essere umano non riesce ancora a governare la Storia, di cui è al tempo stesso vittima e carnefice. Il suo grido, immutato da millenni, simboleggia l’incapacità di dominare la propria esistenza.





