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Metti un sabato d’agosto a Caorle: ovvero quanta democrazia ci può stare in un giro di Spritz

Agosto 2025, sono in viaggio da sola: il mio piccolo regalo prima di un altro periodo stressante e fagocitante a Bruxelles.


Mi trovo vicino all’isola dei pescatori, nella laguna di Caorle e tra i casoni della laguna penso alle isole galleggianti del Titicaca viste tempo prima in un documentario. Apro Instagram per cercarle e invece trovo A., un’amica che non vedevo da quasi dieci anni. È qui vicino, a fare colazione in spiaggia.


A. non è un’amica qualsiasi. Attiva nella sua vita politica passata Belga, è una compagna di percorso con cui avevamo costruito reti e progetti a Bruxelles, lei nel partito, mentre io nella Fabbrica di Bruxelles, la “fabbrica delle idee” della sinistra. Abbiamo condiviso anni di militanza, dibattiti e iniziative che facevano vibrare le strade e la comunità progressista europea.


Un tempo che oggi sembra lontanissimo, quasi utopico.

Luce61, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Luce61, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Ci ritroviamo in un bar panoramico con vista mare. È come se ci fossimo salutate il giorno prima.


A. mi introduce allo Spritz veneto: “Qui il Campari non funziona, devi provare il Select”. Da lì la conversazione scivola sulla Brussels fatigue, sulla bolla degli expat, sugli amici comuni che hanno messo da parte la militanza per fare teatro o suonare in un gruppo musicale o, banalmente, si sono stancati. Ci chiediamo dove sia finita quella dedizione che ci teneva sveglie fino a notte fonda, anche quando non sapevamo bene per cosa stessimo lottando.


Non sono stati i figli a farci rallentare — anche se, in parte, ti risucchiano — né il lavoro, che c’è sempre stato. È cambiato il contesto e la postura della politica. Dopo il Covid, certe dinamiche sociali si sono incrinate, la politica è diventata più personalistica, meno partecipata e dialogante, più povera di idee. Le prospettive, sempre più fosche.


A. ora vive tra Francia e Italia. Ha comprato casa sulla costa veneta e si sente davvero “a casa” al mare, quando i turisti se ne vanno, quando le strade tornano a essere di chi resta, reduci della stagione estiva.


Eppure, anche con più tempo, pur continuando varie forme di attivismo civile e associativo, non ha ripreso a fare attività politica.


Mi sorprende il tono di disincanto che traspare dalle sue parole. Io ho il mio alibi che sfodero quando non riesco a guardarmi allo specchio perché non faccio abbastanza, ma non mi aspettavo questa attitudine da lei.


Le parlo del nuovo progetto associativo al femminile di cui faccio parte[1], che mi sta permettendo di riprendere le fila sfilacciate di quella tela che avevamo costruito insieme. Le confesso che, al momento, mi è difficile ritrovarmi in un partito. Siamo entrambe alla ricerca di quell’identità perduta che forse parla non solo di un altro tempo ma di altre noi più acerbe ma meno disincantate.


L’Italia, nel frattempo, è invecchiata. È impaurita, si sente costantemente minacciata da un nemico che non arriva mai, ‘scrutando all’orizzonte la striscia di uno smisurato mare immobile, colore di piombo’[2].  E noi  ci sentiamo orfane di riferimenti, di visioni.


Riflettiamo su come le regioni italiane siano diventate feudi personali. Veneto e Puglia, due realtà antitetiche politicamente ma per certi versi simili: in entrambe, il potere si concentra in leadership longeve, difficili da scalfire.


Allora era ancora incerta la candidatura di Zaia per il terzo mandato; oggi il suo erede e probabile nuovo governatore Stefani, è un giovane deputato delle file della Lega, un ragazzo instagrammabile a metà strada tra l’imprenditore e l’influencer ma con solide basi borghesi e cattoliche. Il ragazzo che probabilmente ogni genitore veneto vorrebbe che la figlia gli presentasse.


In Puglia, invece, si prepara a riaccogliere Decaro ora eurodeputato e uomo di fiducia di Emiliano, pronto a raccoglierne l’eredità dopo anni di malumori dentro e fuori la Giunta regionale. Un uomo, ancora una volta, un barese, di nuovo, perché anche in questo caso certi equilibri poco lungimiranti e poco attenti al tessuto locale, sono stati prepotentemente confermati con poche sorprese.

© European Union, 1998 – 2025, Attribution, via Wikimedia Commons
© European Union, 1998 – 2025, Attribution, via Wikimedia Commons

Esiti elettorali che sembrano già predeterminati, di campo politico diametralmente opposto, ma uniti dalla riconferma dei candidati presidenti che esprimono la vera problematica, o come direbbero gli istagrammabili, la red flag, ovvero la mancanza di rinnovamento. Due uomini, espressioni dei mandati precedenti e, ancora una volta, il cambiamento sociale dei territori, gli affanni dei cittadini che hanno sempre più difficoltà ad accedere ai servizi sociali garantiti costituzionalmente, vengono messi da parte. Nessuna vera rappresentatività dei giovani (anche se apparentemente in Veneto la situazione non sarebbe così), nessuna rappresentatività delle donne.


Il Covid è stato una tragedia personale per centinaia di migliaia di persone e di famiglie, e ha anche segnato la società italiana col declino dell’impegno sociale di una generazione, quella dei millennials che avrebbe dovuto raccogliere il testimone politico  intergenerazionale, e l'alienazione della generazione Z che non si è mai confrontata con l’impegno pubblico, che ha una visione molto più atomistica e individualistica della società, e una diffidenza nella percezione del futuro, delle istituzioni e della politica.


Il centro-sinistra italiano, specialmente il partito più grande, ha oggi grosse responsabilità di questo immobilismo perché al rinnovamento, alla visione ha sostituito l’attendismo, il calcolo, la prudenza, mentre a destra si diventa sempre più violenti e spregiudicati.


Intanto le generazioni di italiani che potevano esprimere il futuro dei propri territori e del panorama politico nazionale stanno a guardare le elezioni del primo ministro olandese, giovane gay dichiarato, sognano un primo ministro come Sachez, che è diventato il leader del movimento pro-Palestina, stanno esultando per l’elezione del sindaco mussulmano e ambientalista di NY, di nuovo, tutti uomini, ma che rappresentano la pluralità e l’inclusività che costituisce l’identità e il paradigma ideologico della sinistra.


Prima di inviare questo editoriale, che sembra uno sgrammaticato stream of consciusness, ricevo una email da A. che rassegnata mi scrive degli ultimi sconfortanti exit poll delle elezioni regionali in Veneto:


'Tante le donne in politica a livello europeo, nazionale, locale. Tanti i giovani. Se si voleva dare un messaggio di rinnovamento, c’era tutto il potenziale. Invece si preferisce sempre l’idea del campo largo invece di una candidatura di rottura, sempre spinti dalla paura di perdere il centrista e cosí forse ci perdiamo pezzi sempre più larghi di popolazione e di identità, ma chi se lo pone il problema? Qualcuno ha studiato le indicazioni di voto delle periferie? Dei giovani? Delle donne? Nessuno mette in dubbio le competenze di un professionista[3] che sicuramente ha fatto a suo tempo importanti battaglie e sfidato e vinto la lega. Ma i tempi cambiano, e il cambiamento merita riflessione'.


In un contesto di anemia di idee e di imbruttimento della Res Publica, ci si accontenta. Il rischio è che anche noi — quelli che avevano creduto fino in fondo — finiamo per cedere di fronte ai terzi mandati, ai carrierismi, alla stanchezza.


Eppure, per quanto possa sembrare ingenuo, la politica dei territori rimane l’unica via possibile per ricominciare: lì si trovano ancora le idee, il confronto, il dialogo.


Ritorno col pensiero al bar tutto di vetro del lungomare di Caorle. Il pomeriggio dorato avanza: il mare è sotto e intorno a noi.


Mi viene da pensare che non facevo una “riunione politica vista mare” da quando vivevo in Italia. Il mare, luogo dell’anima, riesce ancora a lenire anche quella pervicace amarezza.


Con A. facciamo una passeggiata sul lungomare di Ponente e ci salutiamo con la promessa di rivederci presto. Prima di lasciarci ci facciamo una promessa: questa volta per le elezioni regionali sarei tornata anche io a votare. Ricominciamo da lí.

[2] Cit. ‘Il deserto dei tartari’ D. Buzzati.

[3] G. Manildo candidato per il Centrosinistra alle regionali, ex sindaco di Treviso tra il 2013 e il 2018.

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