La destra italiana in bilico: Simone Leoni e la sfida dell’inclusione
- Dario Codelupi

- 2 giorni fa
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C’è un momento, nella vita politica di un paese, in cui una voce imprevista riesce a incrinare una narrazione che sembrava impenetrabile. L’intervento di Simone Leoni, giovane leader di Forza Italia Giovani, contro le posizioni più radicali, è uno di questi momenti. Non tanto per il contenuto, duro, frontale e senza diplomazie, ma per la posizione da cui arriva: all’interno della stessa area politica che quelle derive radicali ha finito spesso per legittimare o tollerare.
Leoni ha accusato una parte della destra di tradire i valori che dice di difendere, sostituendo il merito con l’identitarismo, la responsabilità con la provocazione, la leadership con la ricerca spasmodica dello scontro. E il paradosso è evidente: a criticare la destra sovranista è un ragazzo cresciuto dentro una tradizione moderata, che oggi vede il proprio campo politico fagocitato da un linguaggio regressivo.
Il punto allora non è stabilire se Leoni abbia ragione o torto, ma capire perché la sua voce abbia risuonato così forte.

La verità è che la destra sta cambiando e lo sta facendo in direzioni divergenti
Da un lato c’è la destra che strizza l’occhio alle pulsioni identitarie, alle nostalgie nazionaliste, ai toni machisti, alla promessa di un ordine rigido e rassicurante. È una destra che prospera nel conflitto e trova la sua forza nell’idea di un nemico esterno da cui difendersi: il migrante, l’attivista, la persona LGBTQIA+, in generale il diverso. Una destra che cresce più facilmente quando la paura è alta.
Dall’altro lato c’è una destra che non vuole restare ostaggio del passato, che capisce che il mondo è cambiato, che riconosce che chi oggi ha vent’anni non sopporta più di essere incasellato in categorie novecentesche e rifiuta l’idea che i diritti siano una concessione e non una garanzia. Questo secondo filone è quello che negli ultimi mesi ha trovato voce anche in figure come Marina Berlusconi, che ha parlato apertamente di libertà di scelta su aborto, fine vita e diritti LGBTQIA+.
Una posizione che ha sorpreso molti, ma che racconta una tensione interna reale: la consapevolezza che un conservatorismo totalmente rigido è destinato a perdere presa in una società sempre più plurale.
Perché adesso la destra corteggia chi prima attaccava
È una domanda cruciale: perché movimenti che per anni hanno fatto della battaglia contro i diversi il proprio carburante oggi cercano aperture, dialoghi, sfumature?
La risposta sta in una semplice evidenza politica: quell’elettorato, da solo, non basta più. Le destre più radicali hanno capito che non si può contare solo sul rancore. Il paese non è più diviso in due blocchi statici; oggi i flussi sono mobili, i giovani sono disincantati, gli elettori non accettano una politica che li dipinge come degenerazioni dell’Occidente. Allora si aprono spiragli, si ammorbidiscono toni, si cercano sponde tra gli stessi che fino a ieri erano additati come simboli della decadenza sociale.
È solo tattica? In parte sì. Ma sarebbe ingenuo pensare che sia solo questo: esiste una battaglia culturale in corso, sotterranea, fatta di nuove élite, nuove generazioni, nuovi linguaggi che iniziano a fare pressione anche dentro il centrodestra.
E l’opinione pubblica? Spaccata, forse più della politica
Il caso Leoni ha mostrato un’Italia che non sa più riconoscersi in una destra monolitica. Una parte dell’elettorato difende Vannacci come un baluardo contro la decadenza, contro il presunto dilagare del politicamente corretto, come simbolo di un’autorità virile e senza compromessi. Un’altra parte vede nel giovane leader la possibilità di salvare la destra da se stessa, di evitare che si trasformi definitivamente in un movimento ostile al futuro, incapace di comprendere che libertà e diritti sono la struttura portante di una democrazia moderna.
E nel mezzo c’è una grande quantità di cittadini che non si riconosce nella brutalità culturale ma non si sente rappresentata nemmeno da una sinistra spesso percepita come distante o astratta.
La domanda finale: cosa deve fare la sinistra?
La sinistra non vincerà questa partita aspettando che la destra si autodistrugga. Se vuole davvero contrastare questa nuova fase deve:
tornare a parlare di libertà, non solo di uguaglianza.
non lasciare alla destra il monopolio della parola “merito”, ma collegarlo a giustizia sociale.
mostrare pragmatismo sui diritti.
uscire dalla comfort zone delle battaglie simboliche e tornare a incidere sulla vita materiale: lavoro, casa, mobilità sociale…
essere capace di distinguere quando l’apertura della destra è sincera e quando è solo un trucco elettorale.
Perché c’è un punto decisivo: se la sinistra non intercetta il bisogno di modernità, qualcun altro lo farà, magari in modo ambiguo, magari con aperture parziali, ma con più coraggio comunicativo.
Conclusione: il caso Leoni è un campanello d’allarme
La verità è che il discorso di Simone Leoni ha rivelato un nervo scoperto. Non perché sia di destra o di sinistra, ma perché ha toccato la questione che davvero definirà la politica italiana dei prossimi anni: “la battaglia tra chi vuole governare il futuro e chi vuole resistergli.”
Se la destra saprà evolvere: accettando di essere plurale, liberale, aperta, il caso Leoni sarà ricordato come l’inizio di una trasformazione. Se invece verrà schiacciato e ridicolizzato, significherà che la destra preferisce tornare ai recinti identitari. E allora, paradossalmente, si ritroverà a regalare alla sinistra l’unico terreno in cui oggi potrebbe diventare davvero competitiva.





