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L’Italia tra piazze e Palazzi: sulla Palestina due narrazioni discordanti

Mai come in queste settimane l’Italia ha mostrato due volti. Da una parte quello di una popolazione che si riconosce sempre più nella causa palestinese, capace di riempire strade e piazze con una forza che non si vedeva da anni. Dall’altro, quello di un governo che parla con più voci, oscillando tra il sostegno incondizionato a Israele e la preoccupazione di non apparire complice di un genocidio. 

Lo sciopero generale del 3 ottobre denunciava la complicità italiana con i crimini israeliani in corso e la solidarietà con la Global Sumud Flotilla, la missione umanitaria fermata dalle autorità israeliane mentre tentava di portare aiuti a Gaza. Le adesioni hanno superato le aspettative, paralizzando in parte trasporti, scuole e servizi in tutta Italia. Non si trattava solo di rivendicazioni sindacali ma era un gesto politico, netto, che rimetteva al centro la questione morale del conflitto e la responsabilità del nostro Paese.

 

Il giorno dopo, Roma è diventata il baricentro simbolico di questa spaccatura. Al corteo per Gaza del 4 ottobre centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza unite: una fiumana compatta da piazzale Ostiense a San Giovanni, bandiere palestinesi, cartelli, studenti, famiglie, comunità arabe e associazioni cattoliche. Tutti con lo stesso messaggio: gli italiani non vogliono essere complici del genocidio che Israele sta perpetrando.

 

Mentre le piazze si riempivano, il governo cercava una linea che non ha ancora trovato. Matteo Salvini, a una giornalista israeliana, ha dichiarato: “L’Italia è uno dei pochi paesi che non si è mai allineata al politicamente corretto antiebraico e antisraeliano “. E ancora: “Molta di questa gente che sta protestando e sta bloccando le strade, interrompendo le lezioni nell’università, non penso che sappia per cosa lo sta facendo perché il terrorismo islamico è il principale problema al mondo”. Affermazioni aberranti da parte di una delle più alte cariche dello Stato italiano.

 

Antonio Tajani, ministro degli Esteri, cosciente dell’ambiguità della posizione del Governo ha cercato di rassicurare i suoi elettori dicendo che l’Italia non è complice del Genocidio in atto, ma le sue parole si scontrano con le azioni del Governo di cui egli stesso è Ministro. Le parole dei due ministri, opposte nei toni, ma ugualmente condizionate da un’alleanza politica subalterna a Washington e a Tel Aviv, rivelano un esecutivo confuso e fratturato, prigioniero del proprio paradosso diplomatico.

 

Intanto, i membri italiani della Flotilla cominciano a rientrare in patria. Ventisei sono stati rimpatriati dopo aver firmato il foglio di via imposto da Israele; altri restano trattenuti illegalmente, e dalle testimonianze dei primi rientrati emergono accuse di maltrattamenti e violenze durante la detenzione. La Farnesina, pur intervenendo per garantire assistenza, non ha ancora chiarito i contorni di quanto accaduto.

 

Quella appena trascorsa è stata una settimana concitata e piena di avvenimenti importanti. L’Italia si è posta al centro dell’Europa per quanto riguarda il dissenso e le manifestazioni pro-Palestina, riscoprendo dopo anni un senso di comunità popolare, capace di mobilitare intere città grazie ai valori di solidarietà e umanità che, diversamente da come vogliono farci pensare, non abbiamo ancora perso del tutto.

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