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I giovani ci salvano

Aggiornamento: 27 set

Memoria, coraggio e il ruolo civile delle nuove generazioni


La scorsa settimana ero a Bologna. Dopo un convegno piuttosto intenso, ho passeggiato a lungo per la città per allentare la tensione. Davanti a un passaggio pedonale, mi sono trovata davanti a un muro di ragazze e ragazzi. Bologna è così: una città giovane, viva, inquieta. Non solo "la città rossa", ma un luogo dove l’energia culturale e politica pulsa ovunque — sotto i portici, nei bar, nelle trattorie, nei corridoi delle università. Osservando quei volti e quei corpi che mi hanno letteralmente attraversata, ho pensato a quanto fossero belli e ho riflettuto sul loro ruolo nelle battaglie civili e sociali.

 

Mi arrabbio — anzi, mi incazzo sul serio — quando sento dire (ahimè molto spesso, il che vuol dire che mi incazzo di frequente) che “i ragazzi di oggi non hanno voglia di fare nulla”, di questo ho già scritto l’ultima volta, ma voglio tornare sul tema perché credo sia necessario, soprattutto ora. Prima di lanciare facili giudizi, prima di sparare frasi fatte e stereotipi consumati senza nemmeno riflessione o consapevolezza, bisognerebbe fermarsi un attimo. Guardare meglio. Ascoltare davvero, magari partendo da una domanda semplice: chi li guarda davvero, questi ragazzi? Chi li osserva ogni giorno, senza preconcetti, senza scrollare le spalle? E soprattutto chi li ascolta? E poi guardarsi indietro e ammettere che sono sempre stati loro a prendersi carico delle grandi lotte. Non gli adulti, troppo spesso impantanati nella vita, o nei loro agi, o nelle loro posizioni di potere.

 

Negli anni Sessanta e Settanta sono stati i giovani a protestare contro la guerra in Vietnam, sono stati sempre loro a tenere viva la lotta per i diritti civili, la lotta contro la discriminazione razziale. In Europa sono stati gli studenti a infiammare Parigi nel maggio francese e, in Italia, a guidare le battaglie civili dai licei alle università. Nel 1989 i giovani cinesi hanno sfidato il regime, e anni dopo ragazze e ragazzi hanno acceso la miccia della primavera araba. In quei giorni migliaia di persone sono scese in strada per chiedere riforme democratiche e libertà: una rivolta spontanea, senza leader, alimentata dalla speranza e dal desiderio di cambiamento, che è stata repressa con brutale violenza.

 

In Iran, è stato il coraggio delle giovani donne, delle studentesse, delle adolescenti, a sfidare apertamente un regime che le opprime da decenni. Dopo la morte di Mahsa Amini, arrestata per non aver indossato correttamente il velo, ragazze e ragazzi sono scesi in piazza al grido di “Donna, Vita, Libertà”. Con le chiome scoperte, i cartelli in mano e i cellulari accesi a documentare tutto. C’è un film bellissimo dello scorso anno, “Il seme del fico sacro” che racconta benissimo il clima di rivolta a Teheran.

 

E oggi? In Nepal, hanno messo a ferro e fuoco le strade dopo il blocco dei social imposto dal governo. In pochi giorni, il governo si è dimesso e il nuovo primo ministro ad interim è stato scelto sulla piattaforma Discord. Sono loro che si battono con ardore per il clima, la giustizia e per il popolo palestinese.

 

E mentre tutto questo accade, il nostro ministro Salvini — sempre lui — in un’intervista a una tv israeliana, perfettamente allineata alla propaganda di Netanyahu, ha detto che i giovani che bloccano le università “non sanno quello che fanno”. Una frase allucinante, detta con la solita arroganza di chi non ascolta e non vede, o meglio vede benissimo e agisce secondo una logica di puro opportunismo.

 

Al ministro, mi piacerebbe dire che per fortuna, esiste quella striscia di tempo fragile e potentissima che chiamiamo giovinezza — quel tratto tra l’infanzia e l’età adulta in cui la fame di giustizia è ancora calda, rabbiosa, urgente. E sì, forse molti di quei giovani, da adulti, si siederanno comodi e dimenticheranno quel senso di libertà e giustizia e voglia di cambiare il mondo. Ma altri prenderanno il loro posto, e lo faranno anche per loro.

 

Perché così è sempre stato: è la giovinezza che tiene viva, generazione dopo generazione, la spinta a lottare.


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