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Il caso Almasri. Duro scontro legale-diplomatico tra il Governo e la Corte Penale Internazionale

Il percorso che ha portato il capo della polizia giudiziaria libica, Njeem Osama Almasri Habish, sul suolo italiano e, infine, all'attenzione delle autorità, è stato un viaggio complesso e multi-tappa attraverso l'Europa. Tutto ha avuto inizio il 6 gennaio scorso, quando Almasri è partito da Tripoli, dando il via al suo itinerario aereo verso il continente. Il primo scalo significativo è stato l'aeroporto di Roma-Fiumicino, un transito che, sebbene breve, segnava il suo primo contatto con il territorio italiano. Da lì, il suo volo è proseguito in direzione di Londra, nella quale Almasri si è trattenuto per un'intera settimana, fino al 13 gennaio. Lasciata la Gran Bretagna, ha viaggiato in treno per raggiungere Bruxelles e il viaggio è continuato a bordo di un'autovettura, in compagnia di un amico, con destinazione Germania. Mentre procedeva verso Monaco di Baviera, Almasri è stato intercettato dalla polizia tedesca per un controllo di routine. Nonostante la sua identità fosse oggetto di una red notice Interpol, dopo le verifiche, gli agenti lo lasciano proseguire, permettendogli di riprendere indisturbato la marcia. Superato l'episodio in Germania, il viaggio si conclude con l'arrivo in Italia, precisamente a Torino, sempre a bordo dell'automobile, per assistere a una partita della Juventus e qui, poco dopo, la sua latitanza si è conclusa con l'intervento delle autorità italiane. 

Il Caso Almasri è emerso come un grave punto di crisi internazionale e un potenziale illecito per l'Italia, che ha sollevato seri interrogativi sugli obblighi di cooperazione con la Corte Penale Internazionale e il ruolo del Governo italiano, e inizia, appunto, con l'arresto dello stesso su esecuzione di un mandato della CPI per crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Pochi giorni dopo, però, la Corte d'Appello di Roma ne disponeva l'immediata scarcerazione, giustificata da un vizio procedurale riscontrato nell'arresto d'urgenza, che era avvenuto senza una preventiva richiesta del Ministro della Giustizia, il tutto in base ad una stretta interpretazione della Legge italiana di cooperazione con la CPI. Subito dopo la scarcerazione, il Ministro dell'Interno ha inoltre disposto l'immediato rimpatrio di Almasri in Libia a bordo di un volo di Stato, giustificato come “un atto amministrativo necessario per motivi di sicurezza nazionale e ordine pubblico”, sostenendo che “il soggetto, ritenuto pericoloso e non più in stato di detenzione, rappresentasse un immediato pericolo per lo Stato” e che il rimpatrio fosse l'unica via d'azione "legalmente e praticamente fattibile" per allontanarlo dal territorio.

 

Questa condotta ha provocato la netta reazione della CPI, che ha formalmente accusato il Governo italiano di aver violato i propri obblighi di cooperazione ai sensi dello Statuto di Roma, ritenendo che l'Italia fosse venuta meno al dovere di consegnare Almasri e di non aver consultato la Corte per risolvere le questioni procedurali o le presunte richieste concorrenti di estradizione. Il Governo italiano, sul punto, ha inviato una dettagliata memoria difensiva in cui si sosteneva la correttezza formale della decisione giudiziaria e si ribadiva l'assenza di potere esecutivo di intervento sulle sentenze, sottolineando come la Giustizia, una volta rilevato il vizio procedurale, avesse l'obbligo di liberare l'imputato. Il Governo ha inoltre mosso obiezioni alla CPI, definendo l'intera vicenda un "malinteso" e suggerendo una mancanza di chiarezza nel mandato d'arresto che avrebbe complicato l'esecuzione, contestando l'accusa di non aver consultato la Corte in quanto l'obbligo gravava sulla Corte d'Appello, soggetto autorizzato a pronunciarsi sulle misure restrittive della libertà, e non sul Governo.

 

Nonostante le difese, la Camera Preliminare della CPI ha concluso all'unanimità che la condotta dell'Italia ha effettivamente violato gli obblighi di cooperazione per mancanza di diligenza e chiarezza, omettendo le necessarie consultazioni, con il Procuratore della CPI che ha richiesto il deferimento dell'Italia all'Assemblea degli Stati Parte o al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, atto che avrebbe un forte impatto diplomatico.

 

Il Tribunale dei Ministri di Roma ha aperto un fascicolo d'indagine a carico dei Ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano (Sottosegretario con delega all'Intelligence) per ipotesi di reato quali concorso in favoreggiamento personale aggravato (per aver aiutato Almasri a sottrarsi alle ricerche della CPI), peculato (per l'uso dell'aereo di Stato) e omissione di atti d'ufficio, sebbene la Premier Giorgia Meloni non fosse coinvolta, pur avendo rivendicato la piena collegialità delle scelte. Il Tribunale aveva chiesto l'autorizzazione a procedere ai sensi dell'Art. 96 Cost., ma la Camera dei Deputati ha votato per negare l'autorizzazione, blindando di fatto i membri del Governo e portando alla conseguente e formale archiviazione dell'indagine nei confronti dei tre Ministri. In conclusione, sebbene l'esito penale abbia risolto la questione giudiziaria interna attraverso l'intervento del Parlamento, il Caso Almasri, con la sua sequenza di decisioni giudiziarie, amministrative e diplomatiche, rimane un punto dolente per l'Italia, mettendo in discussione l'equilibrio tra ragion di Stato, le prerogative dell'Esecutivo e l'ineludibile rispetto degli obblighi derivanti dal diritto penale internazionale e dallo Statuto di Roma.

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