top of page

Gino Strada, il chirurgo che curava le ferite del mondo

Nel silenzio teso di una sala operatoria improvvisata, il rumore lontano delle esplosioni sembra dissolversi. Le mani di Gino Strada si muovono rapide e precise, cercando di salvare la vita di un bambino ferito. Non importa il colore della pelle, la nazionalità, la religione: davanti a lui c’è solo un paziente, un essere umano.

 

Il 13 agosto ricorre l’anniversario della sua scomparsa, ma il suo sguardo e le sue parole continuano a interrogarci, come un richiamo a non distogliere lo sguardo dal dolore del mondo e dall’ingiustizia che lo genera.


https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Gino_Strada.jpg#file
By E-worker, CC BY-SA 3.0

Nato a Sesto San Giovanni nel 1948 in una famiglia operaia, cresce respirando valori di solidarietà, dignità e lavoro. Si laurea in Medicina e Chirurgia all’Università di Milano e si specializza in chirurgia d’urgenza. Dopo gli inizi negli ospedali italiani, perfeziona la cardiochirurgia in centri di eccellenza tra Stati Uniti e Sudafrica. La vera svolta nella sua vita arriva quando entra nella Croce Rossa Internazionale: parte per l’Afghanistan, il Pakistan, l’Etiopia, il Perù. Lì conosce la guerra non come titolo di giornale, ma come ferita aperta su corpi e comunità intere. Impara a operare in condizioni impossibili, con risorse limitate e sotto la costante minaccia delle armi. Ogni intervento non è solo un atto medico, è qualcosa di più, un rifiuto concreto della logica della guerra.

 

Nel 1994, insieme alla moglie Teresa Sarti, fonda Emergency. L’idea è tanto semplice quanto rivoluzionaria: portare cure gratuite e qualità alle vittime di guerra, delle mine antiuomo e della povertà, senza distinzione di origine o schieramento. In Afghanistan apre un centro chirurgico a Kabul che diventa un faro di speranza per migliaia di feriti. In Sudan realizza un ospedale cardiochirurgico a Khartoum, tra i più avanzati del continente africano, dove medici locali e internazionali lavorano fianco a fianco. In Sierra Leone affronta le devastazioni lasciate da un conflitto civile brutale. E poi Cambogia, Iraq, Sri Lanka, Repubblica Centrafricana: ovunque ci sia una guerra, Emergency arriva, portando non solo bisturi e farmaci, ma anche il messaggio che la vita di ogni persona ha lo stesso valore.

 

L’impegno di Gino Strada non si ferma ai fronti di battaglia. In Italia Emergency apre ambulatori per migranti, senzatetto e persone escluse dal Servizio Sanitario Nazionale, dimostrando che la marginalità non è un fenomeno lontano ma una ferita presente anche nelle nostre città. Per Strada, la medicina non è mai una merce, ma un diritto fondamentale: “I diritti o sono di tutti, o non sono diritti.” E questo principio non conosce eccezioni, nemmeno di fronte a pressioni politiche o difficoltà economiche.

 

Parallelamente, anche a causa delle sue dichiarazioni Gino Strada diventa una voce scomoda, forte e netta, impossibile da addomesticare. Il suo pacifismo è radicale: “Io sono contro la guerra. Punto.” Non concede attenuanti, non accetta il linguaggio ipocrita delle “missioni di pace” condotte con le armi in mano. Denuncia il commercio internazionale di armamenti, le politiche che alimentano i conflitti, l’ipocrisia di governi e istituzioni. Per lui non esistono guerre giuste, ma solo guerre e vittime, e la neutralità, di fronte all’ingiustizia, equivale a complicità.

 

A quattro anni dalla sua morte, l’eredità di Gino Strada vive nei progetti di Emergency, oggi attiva in oltre 18 paesi, e in un’idea rivoluzionaria di sanità pubblica globale. Il suo lascito più profondo, però, è culturale: ha dimostrato che si può scegliere di stare dalla parte degli ultimi, anche quando è scomodo e impopolare. Ha insegnato che la coerenza non è un lusso ma una responsabilità, e che la dignità non si negozia. Nei racconti di chi ha lavorato con lui, resta l’immagine di un uomo capace di passare ore in sala operatoria e poi sedersi su una panca, a parlare con i pazienti e le loro famiglie, cercando di restituire loro un frammento di speranza.

 

Ammetteva di avere un carattere difficile, insofferente alle mediazioni, ma era proprio quella ostinazione a renderlo capace di realizzare ciò che molti ritenevano impossibile. “Se uno è contro la guerra, deve esserlo sempre. Non quando gli conviene.” In un’epoca in cui le parole “pace” e “diritti” vengono svuotate e piegate alle convenienze politiche, la sua voce resta un faro di coerenza.

 

Ricordare Gino Strada significa guardare oltre le cerimonie e chiedersi cosa fare, oggi, per rendere reale la sua visione. Significa trasformare la compassione in azione, non accontentarsi di indignarsi ma impegnarsi per il cambiamento. Perché il mondo che sognava, senza guerre, senza povertà, senza disuguaglianze, sembra lontano ma non è irraggiungibile, dipende anche da noi.

 

Il messaggio che ci ha lasciato è universale, se Brecht ci parlava de “la guerra che verrà” denunciando le condizioni della povera gente, lui ci ha mostrato con le azioni come stare al fianco degli ultimi, soprattutto quando i governi voltano loro le spalle.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

  • Instagram
  • Facebook
bottom of page