La legacy della delegazione italiana in parlamento UE
Si sente spesso dire, soprattutto dal partito celodurista italico ma non solo (do you remember Di Maio?): “andremo a farci sentire in Europa/dovranno ascoltarci quelli di Bruxelles!” Orbene, ma quale eredità lasciano i nostri attuali parlamentari in Europa? Secondo i dati di Openpolis[1] il gruppo Italiano con il 90,98%, è 19’ in Europa per numero di presenze in sedute parlamentari. Bene, ma non benissimo, considerando che il parlamento in media si riunisce una volta al mese, e che sostanzialmente vengono eletti per fare (anche) questo di mestiere.
Per quanto riguarda la qualità dell’operato parlamentare, bisogna analizzare la capacità di questi, nell’incidere nel potere legislativo UE: mentre gli italiani sono terzi dopo Germania e Francia per numero di posti chiave ricoperti nelle varie commissioni parlamentari (ve ne sono 46); tuttavia tra i primi 100 parlamentari più attivi in UE, soltanto 8 sono gli “influencer” italiani (ovvero coloro che si son distinti per maggiore incisività politico-legislativa), al primo posto di questi troviamo l’infaticabile Tajani di Forza Italia, la metà di questi 8 provengono dal partito democratico. Lega (nord) non pervenuta.
I pronostici al livello europeo e il peso del voto Italiano
Come si è detto nell’articolo precedente la Commissione a guida tedesca si regge attualmente sulla coalizione tra popolari e democratici (e i liberali dell’ALDE, del gruppo Renew Europe); un tempo invisa e “innaturale”, poi sempre più sdoganata al livello anche nazionale (Monti, Draghi e altre creature straordinarie). Questa coalizione si basa sul paradosso speculare: i partiti di centro-sinistra non avrebbero i numeri per governare con solamente Verdi, pezzi di liberali e sinistra (e probabilmente non vorrebbero nemmeno, altrimenti sarebbero chiamati a compiere davvero scelte “di sinistra” senza la scusa del matrimonio forzato con la destra).
I partiti di centro-destra in Europa invece a loro volta raramente al livello nazionale compongono coalizioni con le destre estreme e xenonofobe; tranne alcune eclatanti eccezioni, come l’Italia (dove post-fascisti, xenofobi omofobi massoni, populisti complottisti compongono il background politico del governo in carica).
Questo provoca il successo del compromesso storico attuale, successo che tuttavia si pronostica potrebbe non riconfermarsi a seguito degli esiti della prossima tornata elettorale in cui i sondaggi europei danno in grande ascesa i partiti più estremisti di destra, mettendo in serio dubbio, la riconferma di Von der Leyen. Secondo le ultime medie disponibili, infatti, il blocco socialista e popolare potrebbe perdere fino al 10% dei voti[2], a vantaggio delle destre estreme. Questa debacle elettorale annunciata comporterebbe il rischio che, pur includendo i liberali, l’attuale maggioranza UE non riesca a riconfermarsi o non riesca a trovare adeguata stabilità. Da qui sono nate settimane di non tanto nascosti corteggiamenti tra le tre bionde della politica europea, quella donna, madre cristiana e tedesca, insieme all’italiana e alla francese.
Far convergere il partito deL presidente Meloni verso posizioni più miti, verso cioè il gruppo dei popolari; far sì che a questi si aggiunga una versione soft di Le Pen (che recentemente si è casualmente accorta che i suoi camerati di partito tedeschi di AfD sono dei nazisti, ma tu guarda!) sono strategie politiche che Von der Leyen sta tentando in questi ultimi mesi, correndo tuttavia enormi rischi.
Nonostante il pervicace attaccamento dei socialisti al potere, non è poi così scontato che questi accettino tale avvicinamento[3], e allo stesso tempo però affidare alla destra e alla destra estrema la guida del prossimo Parlamento e Commissione europea, con i socialisti, Verdi e liberali sull’Aventino, significherà certamente la morte delle politiche comunitarie sul Green Deal, la fine degli sviluppi sul campo dei diritti umani e civili, la fine dell’Europa dei cittadini e la nascita dell’Europa degli interessi nazionali first.
L’esito delle elezioni pare molto meno verde e molto meno inclusivo del presente. L’UE si troverà ad affrontare un mondo in cui presto potremmo dover di nuovo fare a meno degli Stati Uniti (se venisse eletto Trump) come partner per la protezione del fronte europeo orientale. Avremmo i vari Orban di turno, russofili ed eterodiretti, sempre più influenti e legittimati a dissolvere il Progetto della casa comune. Saranno meno incisive le politiche di allargamento dell’Unione europea verso i Balcani e il fronte est. Avremo Israele e Iran come fattori ancora più destabilizzanti in Medio Oriente, a causa dell’ignavia europea, della sua mancanza di leadership in quanto prevarranno gli interessi nazionali alla voce comune. E un’Africa sempre più eurofoba e in balia degli interessi economico-strategici crescenti di Cina e Russia.
Se crolla l’idea progressista e liberale di una Europa di persone, e dovesse prevalere una Europa-condominio fatta di compromessi di cortile nazionale, spesso conflittuali, saremo sicuramente diretti a pesare sempre di meno nello scacchiere internazionale.
Chi inneggia allo slogan del “più Italia, meno Europa” chiaramente non si rende conto che meno Europa vuol dire solo una cosa: meno Italia.