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Le proteste degli agricoltori e le politiche comunitarie: dalla forchetta alla forca?

Quello che non poterono i gilet jaunes, riuscirono a fare gli agricoltori. Uniti nelle proteste, forse meno nelle proposte, molte capitali europee sono regolarmente invase da settimane da migliaia di farmers mettendo in tilt il traffico dei centri urbani.

Demonstration of farmers in the European Quarter in Brussels - European Union, 2024, CC BY 4.0, CC BY 4.0, da Wikimedia Commons

E così su quelle strade calpestate normalmente da gente pettinata e incravattata, son stati riversati quintali di fieno e sterco[1], soprattutto in corrispondenza dei centri di potere, luoghi che, a detta dei manifestanti, ignorano i problemi di quel settore economico che tra i banchi di scuola avevamo appreso a definire “primario”: l’agricoltura.


In questo inverno già reso mite dal cambiamento climatico, le temperature si son ulteriormente surriscaldate dagli slogan contro l’Europa matrigna e contro i suoi leader, incapaci di proporre politiche che incontrino le esigenze degli agricoltori, soprattutto medi e piccoli. Agricoltori i cui ricavi son sempre più stretti tra politiche di prezzi al ribasso della grande distribuzione, impennata dei costi di produzione e caro energia.


Come inquadrare appieno le cose? C’è della ragionevolezza nelle ragioni degli agricoltori, e cecità in questa classe politica comunitaria, tacciata di far solo gli interessi delle grandi lobby? Non disponendo di spazio per risposte enciclopediche, e panaceutiche soluzioni, cerchiamo di mettere in fila le istanze coinvolte, per disciplinare il dubbio, aiutando la discussione osservando i vari fronti. Spesso, infatti, il cavalcare risposte facili è nemico dell’obiettività.

Demonstration of farmers outside the European Parliament with smoke rising from tires set on fire - European Union, 2024, CC BY 4.0, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

Come premesso, le ragioni principali delle proteste sono un concentrato di malcontento a più livelli: una breve e non esaustiva lista comprende sicuramente la questione dei dazi sulle importazioni agricole ucraine, gli accordi economici e commerciali del Mercosur, così come le politiche di green deal.


Dalla frontiera polacca ai porti italiani, gli agricoltori stanno ostacolando l’ingresso di carichi di cereali da paesi terzi verso l’UE, poiché questi causerebbero un danno economico ai produttori a causa del dumping sui prezzi stracciati, rispetto a quelli comunitari, e concorrenza sleale sui regolamenti di produzione, molto più laschi rispetto alla rigida normativa europea.


Per gli stessi motivi gli agricoltori sono totalmente contrari agli accordi di Mercosur[2] che prevederebbero il taglio dei dazi alle importazioni di cereali, carne ed altri prodotti provenienti dall’America Latina. Last but not least, lo scontro frontale tra agricoltori e green deal, ovvero la politica comunitaria di abbattimento delle emissioni di gas serra in Europa, da qui al 2050.

Francesco Lollobrigida - Ministero delle Politiche Agricole, CC BY 3.0 IT, via Wikimedia Commons

A queste lecite preoccupazioni, se ne aggiungono altre più folkloristiche, come la crociata italiana che vede a braccetto il ministro-cognato Lollobirgida e Coldiretti[3], sulla cosiddetta carne sintetica, quella francese contro le etichette di formaggi vegani[4], la battaglia sulle farine da insetti e l’applicazione del nutriscore[5] sui vini.


Sin qui le istanze delle piazze, osservando ora dal lato “dei palazzi di potere”, forse grazie alla posizione privilegiata, si gode di una visione senza dubbio meno bucolica ma più pragmatica: e qui dall’agricoltura si passa alla geopolitica, alla tenuta socioeconomica ed all’ambiente.


Il biennio Covid e peggio ancora il post-pandemia hanno portato in Europa un’inflazione senza precedenti[6], con valori superiori al 10%. Non si è fatto in tempo a posare le mascherine che, sul suolo europeo si son dovuti imbracciare i fucili. L’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Mosca sta portando l’Europa per la prima volta dopo quasi 80 anni un passo da una Guerra Mondiale.


Dopo oltre due anni di conflitto, il supporto all’Ucraina passa anche dal supporto alla sua economia esangue. Ciò che accomuna fritterie belghe alle scatolette di tonno spagnolo è l’olio di girasole ucraino di cui il paese è primo esportatore mondiale (quarto per il mais e quinto per il grano).


Il 41% del totale del valore dell’export ucraino sono i suoi prodotti agricoli[7]; facilitarne l’export rientra nella strategia di garantire, in primo luogo ad Africa ed Asia, ma anche ai cittadini europei, prodotti agricoli a prezzi vantaggiosi. Ciò inoltre garantisce ingresso di capitali ad un paese devastato dal conflitto e ad un passo dalla bancarotta[8].

PARLAMENTO EUROPEO - renato agostini, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Il condominio Europa è abitato da agricoltori ma anche da consumatori, che subiscono il calo del loro potere d’acquisto. Il legislatore deve dare risposte rapide alla sicurezza alimentare comunitaria, alla crisi geopolitica e salvaguardare la tenuta sociale ed economica di famiglie e agricoltori.


Stretti tra la difficoltà crescente di garantire adeguati sussidi economici agli agricoltori (sussidi che rappresentano il 31% dell’intero budget comunitario[9]) e garantire un futuro economicamente ed ecologicamente sostenibile dell’agricoltura UE, il legislatore sta spingendo verso politiche di riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, non foss’altro perché è proprio l’agricoltura il settore economico maggiormente esposto alla minaccia del cambiamento climatico.


La notizia shock di Milano terza città più inquinata del mondo ha fatto molto discutere. Che sia un dato affidabile o meno[10], forse in pochi sanno che a concorrere prioritariamente[11] all’inquinamento della pianura padana non è lo smog da traffico, bensì l’agricoltura e gli allevamenti intensivi.


Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia Ambientale Europea EEA[12], nel 2022 l’11% delle emissioni di gas serra UE provenivano proprio dall’agri-industria. Una percentuale corretta al rialzo[13], raggiungendo il 15.4% nel terzo trimestre 2023. In pratica l’agricoltura è il terzo settore economico più inquinante dopo manifattura (21.6%) ed energia (17,6%), arrivando prima di famiglie (14,9%) e trasporti (14,4%).


L’agricoltura non solo ha un impatto importante sulle emissioni di gas serra, ma è anche il settore che ha aumentato le sue emissioni nocive, in un contesto in cui gli altri settori economici stanno diventando sempre più green. Si stima che senza interventi strutturali, da qui al 2050 l’agricoltura contribuirà con un misero 1,5% al taglio delle emissioni di gas serra. Per quella data l’UE si è data invece come obiettivo zero emissioni di gas serra[14].


Il green deal in agricoltura prevede la riduzione dell’uso di pesticidi e la redistribuzione dei sussidi premiando settori meno inquinanti e de-sussidiarizzando quelli più inquinanti. Ed è in questa cornice che si inseriscono le ricerche su fonti alternative alla carne da allevamenti intensivi ed alla promozione di consumi di prodotti plant-based piuttosto che di origine animale.


In un contesto in cui l’agricoltura si trova esposta al cambiamento climatico apparirebbe scontato che sia contestualmente il settore tra i più aperti all’innovazione, eppure complice un invecchiamento preoccupante degli agricoltori[15], le associazioni di categoria reagiscono in maniera corporativa e reazionaria[16] a difesa del “made in Italy” che è in realtà messo in serio pericolo proprio dal mantenimento dello status quo, generando un corto circuito paradossale in cui la difesa dell’agricoltura tradizionale potrebbe decretarne la sua scomparsa. Ci troveremmo ad un triste amarcord dell’ultimo abitante dell’isola di Pasqua che, potando l’ultimo albero dell’isola ne ha decretato la fine della sua civiltà.

Contadini occitani del Coordinamento Rurale (con i loro berretti gialli) bloccano l'autostrada A 62 ad Agen (Aquitania) il 24 gennaio 2024 - Raymond Trencavel, CC0, via Wikimedia Commons

Sicuramente le politiche comunitarie in agricoltura sono ben lontane dall’essere inattaccabili: lo stesso ricorso all’aumento delle importazioni, se non accompagnato dall’aumento degli standard qualitativi dei prodotti e dei diritti dei lavoratori nei paesi terzi, altro non è che puro carbon-leakage, ovvero il far risultare più pulita la produzione agricola UE in quanto non viene contabilizzato l’inquinamento prodotto dalle merci importate da paesi extra-UE.

La Rivolta di Ultima Generazione blocca una strada davanti alla Porta di Brandeburgo nel centesimo giorno in cui il governo federale è in carica. I bloccanti vengono portati via. Porta di Brandeburgo, Berlino, 18 marzo 2022 - Stefan Müller (climate stuff, 1 Mio views) from Germany, CC BY 2.0, da Wikimedia Commons

Al tempo stesso risulta pericoloso e controproducente affidarsi a salvifiche soluzioni proposte da quei partiti populisti; gli stessi i quali, un giorno legiferano[17] contro i blocchi stradali degli ambientalisti, benedicendo[18] le manganellate agli studenti, ed il giorno dopo difendono[19] i blocchi stradali dei trattori.


In ultimo, le politiche agricole necessitano di maggiore attenzione da parte dei cittadini, il cui coinvolgimento è indispensabile in quanto chiamati a comprendere l’impatto delle loro scelte di consumo sul clima. Talvolta ci si dimentica di vivere in un ecosistema interdipendente; e siccome vale il detto “siamo quello che mangiamo”, l’Europa che verrà sarà almeno in parte, il risultato di scelte che faremo, dalla terra alla tavola[20].


 

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