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Democrazia e pluralismo: valori da difendere anche in Occidente

Siamo così certi che il cammino verso la libertà, la democrazia e il pluralismo sia privo di ostacoli nei paesi occidentali? Proviamo e vedere quali sono i rischi che corriamo se crediamo che questi valori siano acquisiti e condivisi una volta per tutte.

La vicenda dell’arresto e carcerazione della giornalista Cecilia Sala, che ha avuto per fortuna un esito positivo, ragione per cui dovremmo essere tutti felici, mi dà lo spunto per alcune riflessioni sullo stato di salute della democrazia nei paesi occidentali. Io credo che, per quanto in Europa e America il livello di libertà e pluralismo sia sicuramente più alto che nella maggior parte dei paesi del resto del mondo, ci sono molti motivi per i quali possiamo avere qualche preoccupazione.

 

Uno dei capisaldi del buon funzionamento di uno stato realmente democratico è la libertà di stampa e opinione. Se è evidente che dittature e autocrazie limitino tali libertà e usino la stampa per scopi di propaganda, siamo sicuri che nel nostro caro Occidente non accada mai nulla di simile? Certo, nei nostri paesi non si finisce facilmente in carcere per reati collegati alla propria opinione, ma abbiamo visto delle eccezioni importanti. Il caso della reclusione di Julian Assange dovrebbe farci riflettere profondamente. Se non è finito in un carcere americano per scontare un ergastolo (rischiava 175 anni di carcere) è solo perché ha patteggiato una colpa che non ha commesso. Purtroppo non mi sembra che Assange abbia avuto la solidarietà della categoria dei giornalisti dei paesi cosiddetti democratici, non ho visto grandi firme strapparsi i capelli per il suo destino. Questo caso ha implicazioni enormi, non va assolutamente sottovalutato.

Alisdare Hickson, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Alisdare Hickson, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Rimanendo in quella che è considerata la più grande democrazia del mondo (in realtà, per popolazione sarebbe l’India), è abbastanza unanime il pregiudizio che gli Usa siano l’esempio di un paese in cui la stampa sia il cane da guardia del potere. Una lettura dell’opera di Noam Chomsky, la fabbrica del consenso, può darci una chiave di lettura ben diversa. Il noto attivista americano sostiene, con dovizia di dati ed argomentazioni, il ruolo piuttosto propagandistico della stampa negli Stati Uniti. In questa pubblicazione si possono trovare abbondanti prove che mostrano come, anche tra le testate più autorevoli, si usino due pesi e due misure nella pubblicazione di notizie riguardanti paesi considerati nemici e i loro alleati, rispetto a casi analoghi tra i paesi amici o alleati. Chomsky ci mostra anche la credenza quasi messianica, accolta negli USA come una verità indiscutibile, di essere loro lo stato che porta il bene e la civiltà nel resto del mondo. Sono ben pochi tra gli americani quelli che ammettono che si tratti di una dottrina e non della realtà dei fatti.

 

Certo la pratica dei due pesi e due misure non è un’esclusiva degli Stati Uniti, ma si può notare in tutti i paesi occidentali. Per esempio, confrontando l’invasione russa in Ucraina a quella di Israele in Palestina, Libano e Siria. La prima sembra sia scaturita dal nulla, e chi fa presente che l’allargamento della NATO fino a pochi chilometri da Mosca potrebbe esserne una concausa (che non vuol dire giustificare nulla), viene tacciato di intesa col nemico. Viceversa per l’invasione israeliana, con il tributo, per ora, di oltre 40mila morti palestinesi (tra cui più di un quarto sono bambini), la giustificazione viene trovata subito nell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Come se prima in quella regione non fosse mai capitato nulla e i palestinesi fossero di colpo impazziti. Ormai è più facile trovare critiche al governo israeliano e al suo primo ministro Netanyahu sui giornali israeliani che in quelli europei o americani. Come i critici della NATO sono accusati di putinismo, così per quelli di Israele parte l’accusa infamante di antisemitismo.

Ma anche quando ci limitassimo a parlare dell’esercizio della sovranità popolare nel rito del voto, potremmo trovare molti esempi di come venga calpestata. Uno degli esempi noti più recenti riguarda la Francia, dove il Presidente Macron si è ben guardato di incaricare per la formazione del governo un esponente del partito che ha ricevuto più consensi, solo perché il programma politico della LFI (La France insoumise) non era gradito alla Confindustria francese e alle agenzie di rating. Ci si potrebbe chiedere a questo punto a cosa serva andare a votare. Ormai sembra che la politica si occupi di cose secondarie e non sia possibile discutere il dogma del dominio del mercato.

 

Infine, tra le cose che dovrebbero farci più paura, il monopolio di alcune tecnologie, fondamentali per l’esercizio della democrazia, da parte di pochi privati. Parlo di chi ha in mano la proprietà delle tecnologie legate alle telecomunicazioni, all’AI o ai Social, sempre più determinanti per influenzare l’opinione pubblica e per orientare la politica globale anche nei cosiddetti stati liberi.

 

Tutta una serie di interrogativi senza risposta che dovremmo tenere ben in mente quando parliamo di difesa dei valori della civiltà occidentale. In realtà è proprio da noi stessi che dovremmo difenderci prima di pensare di “esportare” la democrazia con gli effetti disastrosi che conosciamo. E non dobbiamo dimenticare che tutte le conquiste di libertà, democrazia, tolleranza, e altri valori che permeano la nostra società, non sono mai definitivi, ma vanno coltivati giorno per giorno.

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