Definisci bambino: la manomissione delle parole
- Linda Bonucci

- 27 set
- Tempo di lettura: 3 min
Lunedì 22 settembre ho partecipato allo sciopero per Gaza e, nel tardo pomeriggio, a quello che doveva essere un presidio in centro.
La mia città, Bergamo, storicamente piuttosto tiepida nei movimenti di protesta, mi ha sorpreso. In breve tempo, il piccolo spazio destinato al presidio, intorno alla fontana della “Zuccheriera”, in Porta Nuova, è diventato insufficiente e le persone si sono riversate in mezzo alla strada, bloccando il traffico, senza tuttavia suscitare reazioni avverse né nelle forze dell’ordine né dei malcapitati automobilisti.
A un certo punto, Largo Porta Nuova pullulava di gente con cartelli, striscioni e bandiere: è partito un corteo che si è snodato per le vie del centro per circa due ore.
Nonostante il tempo molto incerto, c’erano persone di tutte le età, tantissimi bimbi, sulle spalle dei loro papà, e moltissimi giovani. Io ero con alcune colleghe e ciascuna di noi ha incontrato alcuni tra i propri studenti o ex studenti.
Nessun episodio di teppismo, nessun fanatismo: solo tanta voglia di esserci, per far pressione sul nostro Governo, per dissociarci dalla politica che non si oppone, nei fatti, al genocidio e alla sistematica violazione del Diritto Internazionale Umanitario, trasmessi in diretta televisiva.
Mi fa male la narrazione che mistifica i fatti, che, invece di dar risalto alla protesta sana (e doverosa) di milioni di persone, insiste su qualche fattaccio che, seppur deplorevole, non è certo rappresentativo del moto di pacifica indignazione in atto, da mesi, nel Paese.
Del resto, certa narrazione definisce terroristi gli uomini e le donne a bordo della Global Sumud Flotilla, persone disarmate, con una missione umanitaria.
Le parole hanno un loro peso e possono cambiare la lettura delle cose, contribuendo a determinare i fatti.
A un indignatissimo Enzo Iacchetti è stato chiesto di definire bambino: a Gaza, per gli amici di Israele, neanche i bambini sono innocenti. Forse chi sta ammazzando e torturando migliaia di persone, chi sta negando l’infanzia – e la vita – a migliaia di innocenti deve raccontarsi questo, che non sono persone, non sono bambini: altrimenti come potrebbe sopportare il peso di ciò che fa? È la Storia che si ripete: lo hanno fatto anche i nazifascisti con gli Ebrei, gli europei con i popoli sottomessi in epoca coloniale: li disumanizzavano per poterli schiacciare.
Così, l’antisionismo o anche la semplice indignazione di fronte allo sterminio di un popolo vengono narrati come antisemitismo, termine terribile per quanto orrore è in grado di evocare.
La manipolazione delle parole è uno strumento subdolo. Si parla di guerra in Medioriente, ma, da vocabolario (Treccani), la guerra è un conflitto aperto e dichiarato fra due o più stati, o in genere fra gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi, ecc., nella sua forma estrema e cruenta…
Il popolo palestinese, poverissimo e stremato, è privo di un proprio Stato, nonché di un proprio esercito: viene di fatto assimilato ad Hamas e combattuto come terrorista.
Il termine guerra fa inoltre pensare che le forze in campo siano almeno paragonabili, invece, parliamo di un esercito tra i meglio organizzati e armati al mondo, che può contare su circa 180.000 militari più 450.000 riservisti, contro circa due milioni di civili inermi e un’organizzazione armata, Hamas, che a oggi conta, secondo l’intelligence israeliana, 15.000 uomini dentro la striscia di Gaza.
Israele parla di diritto alla difesa, sacrosanto, considerata anche la sua delicata collocazione geografica, afferma che sta combattendo una guerra di difesa, ma il numero dei morti dal 7 0ttobre 2023, per quanto incerto e discusso, contraddice tale tesi: le vittime israeliane (compresi i civili) sono all’incirca 2000, mentre, secondo il Ministero della Salute palestinese, sarebbero circa 65.000 i civili palestinesi uccisi, di cui oltre 20.000 bambini, cui si aggiunge un numero spaventosamente alto di feriti (165.000, di cui oltre 42.000 minori, la metà dei quali ha riportato invalidità permanenti).
La narrazione mistificante e opportunistica può alleggerire le coscienze, ma non cambia le cose. I fatti sono fatti e le riflessioni intorno a essi possono interpretarli, mai mistificarli.
Le parole hanno un preciso significato e un bambino è tale in ogni parte del mondo: persino i bambini soldato continuano a essere bambini, strumentalizzati, violati, pericolosi, ma bambini, e vanno comunque protetti.
Sostenere che, oggi, l’Italia e l’Europa abbiano il dovere morale di fare quanto in loro potere per porre fine al genocidio e protestare contro le tiepide posizioni finora sostenute dai nostri Governi, non significa affatto non condannare i terribili eventi del 7 ottobre 2023 o difendere il teppismo e la violenza esercitata da alcuni manifestanti pro Pal: confondere le cose serve solo a esacerbare gli animi.
E questo è quanto.






