Al Masri, smentito l'arresto
- Davide Inneguale

- 4 ore fa
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A gennaio Osama Almasri, ritenuto uno dei più influenti trafficanti libici e collegato da diverse inchieste a reti internazionali di tratta e violenze, viene fermato dalla Digos in Italia. L’arresto dura poche ore. Due giorni dopo Almasri non si trova più in una cella italiana, ma su un aereo diretto in Libia, accompagnato dai servizi segreti italiani. Il governo rivendica l’operazione come gesto di pragmatismo diplomatico e nega qualsiasi opacità. A novembre Tripoli annuncia trionfalmente di averlo catturato. Sembrava la chiusura più giusta del cerchio di un caso che abbiamo seguito dal principio.
Poi accade qualcosa che rimette tutto in discussione. Il quotidiano l’Unità pubblica una notizia riportando le dichiarazioni di Marco Mancini, ex numero due dell’intelligence italiana. Mancini afferma che quell’arresto libico non ci sarebbe mai stato. Almasri, sostiene, sarebbe libero. Vivrebbe in un appartamento protetto nell’area dell’aeroporto di Mitiga e si muoverebbe tra Libia e Tunisia con scorte armate, investimenti immobiliari e una rete di protezione politica. Se questo fosse vero, vorrebbe dire che il governo libico avrebbe mentito e che l’Italia sarebbe stata parte, consapevole o meno, di una messa in scena destinata a rassicurare le opinioni pubbliche.
E qui il discorso esce dai confini del botta e risposta politico. Deve preoccuparci l’idea che istituzioni nazionali e magistrature di due Paesi possano costruire una narrazione falsa su uno dei protagonisti della tratta di esseri umani, fenomeno che incrocia gli interessi di milizie, governi, mafie locali e organizzazioni criminali che si arricchiscono sulla pelle dei migranti, dei più fragili. Significa che mentre l’Europa discute di meccanismi di ricollocamento e patti bilaterali, un nodo centrale del traffico potrebbe muoversi indisturbato, con la consapevolezza degli stessi attori che dovrebbero fermarlo. Ciò che significa veramente è che gli accordi sulla gestione dei flussi migratori rischiano di poggiare su fondamenta fragili, perché trattano con apparati che potrebbero manipolare informazioni e destini umani per convenienza politica.
In questo quadro entra la notizia arrivata da Berlino. La Germania ha consegnato alla Corte penale internazionale il vice di Almasri, Albuti, senza deviazioni, senza rimandi, senza voli di ritorno verso Tripoli. Un Paese europeo che rispetta la giurisdizione della Corte e coopera con la giustizia internazionale manda un messaggio chiaro: chi è accusato di crimini gravi risponde davanti ai giudici. La differenza con il caso italiano appare netta. Da un lato un criminale viene rimesso in circolazione, dall'altro invece viene processato.
La gestione di figure legate al traffico di esseri umani definisce il profilo e lo spessore di un Paese, la Germania adempie al proprio ruolo nella faccenda mettendo in imbarazzo la gestione italiana.






