La discussione sul terzo mandato in seno soprattutto al M5S e al PD provoca alcune considerazioni sul rapporto tra potere, leadership e democrazia.
Credo sia un tema che interessi poco alla gente, ma non è da sottovalutare se si va a indagare oltre le apparenze superficiali. Se stiamo parlando di rappresentanti eletti nei parlamenti, che siano europei, nazionali o locali, non ho nulla in contrario alla professionalizzazione della politica, a patto che tale attività sia considerata un servizio verso il cittadino e non viceversa. Avere politici preparati credo sia sempre auspicabile. Certo, bisognerebbe evitare le esagerazioni, che comportano anche un distacco dalla realtà per la permanenza nei palazzi del potere. Un certo ricambio, possibilmente in meglio, è sempre auspicabile.
Cosa diversa è quando si parla di cariche politiche direttive, come presidenti, sindaci, governatori e non di “semplici” rappresentanti eletti come parlamentari o consiglieri. Gli ultimi a trattare questo argomento dovrebbero essere i diretti interessati, magari arrivati al secondo mandato. Risulta evidente la presenza di un certo conflitto d’interesse, non credo valga la pena dimostrarlo. Zaia e De Luca sono le ultime persone che dovrebbero occuparsi della questione. In questo caso, penso che un limite di due mandati risulti salutare perché le nostre istituzioni repubblicane non assomiglino troppo a una monarchia.
A sinistra, il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia (fonte: Regione del Veneto, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons); a destra, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca (fonte: Roquejaw, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons).
Secondo me, il vero fine di qualsiasi leadership dovrebbe essere, almeno di principio, come una stella polare che ci dia la direzione, il suo superamento. Il vero leader è quello che punta a diventare inutile piuttosto che insostituibile.
Dietro il dibattito sul numero di mandati per questo tipo di figure istituzionali o per i capi di partito, in realtà si nasconde una delle patologie della nostra società, che chiamerei leaderismo, cioè la fede nell’azione di un leader carismatico e la totale disattenzione verso i contenuti dell’azione politica.
Questo, secondo me, è il vero punto della questione. Non abbiamo bisogno di leader insostituibili, ma di rappresentanti che incidano sulle questioni veramente importanti.