E se l’unione delle carriere dei magistrati fosse un punto di forza della giustizia italiana piuttosto che un problema?
La separazione delle carriere dei magistrati è veramente necessaria e prioritaria? Siamo certi che migliori il funzionamento della giustizia e assicuri il garantismo per i cittadini che si trovassero a fare i conti col sistema giudiziario? Il paradosso di questa riforma è che le conseguenze potrebbero essere proprio opposte a quanto venga venduto e propagandato. Ma forse l’obiettivo è proprio questo: una giustizia di classe, forte con i deboli e debole con i forti, garantismo per chi se lo può permettere.

Premessa: le carriere di fatto sono già separate. I criteri per poter cambiare ruolo per un magistrato da requirente a giudicante (o viceversa) sono talmente stringenti che sono pochissimi quelli che lo fanno veramente. La comunanza di vedute tra pubblici ministeri e giudici è un falso problema. Così come è un falso problema che, per il solo fatto che giudici e pm seguano carriere comuni, ne consegua che le sentenze dei processi siano sbilanciate verso le richieste dell’accusa (che è un modo improprio di chiamare il pubblico ministero). Non c’è alcuna statistica che confermi questo teorema. Tanto per fare un esempio, il primo che mi venga a mente, l’assoluzione del Ministro dei Trasporti Matteo Salvini al processo Open Arms, proverebbe proprio il contrario.
Quindi qual è il vero obiettivo della riforma? A che serve separare le carriere, se già i passaggi di ruolo sono così rari? Sicuramente sarebbe il primo passo per poter tenere sotto controllo il lavoro dei pm. Si fa presto a dire che nessuno vuole toccare l’indipendenza dei magistrati e l’obbligatorietà dell’azione penale, intanto cominciamo a separare definitivamente le carriere. Così avremo magistrati requirenti affamati di condanne perché diventeranno una specie di avvocati dell’accusa. Funziona così negli Stati Uniti: procuratori poliziotti che si impegnano per trovare e condannare il colpevole, come l’avvocato difensore cerca l’assoluzione. Una vera sfida in cui il pm vince se ottiene la condanna. Dove sarebbe qui il garantismo?
A mio parere, il principale vantaggio delle carriere comuni è proprio che nell’ordinamento italiano i procuratori e pubblici ministeri sono a tutti gli effetti dei giudici e, per quanto siano i titolari delle indagini, il fine principale della loro azione è arrivare alla verità, non trovare un colpevole, quale che sia. Potrei anche aggiungere che chi si trova a fare un po’ di esperienza in ruoli diversi, succede in molti ambiti della vita, avrebbe più opportunità di ampliare la propria visione della realtà. Un pm che avesse fatto carriera da giudice potrebbe interpretare in maniera più equilibrata il suo ruolo. Infatti, non di rado, capita che sia proprio lui a chiedere l’assoluzione in fase di giudizio.
Così torniamo al vero obiettivo della riforma. Avremo, come succede in tutti i paesi con le carriere separate, un pubblico ministero che non è più un giudice e passerebbe sotto il controllo dell’esecutivo. Seguirà, a stretto giro di posta, la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale, così sarà il governo a indicare quali siano i reati prioritari da perseguire. Facciamo una scommessa che non saranno quelli dei colletti bianchi? Non è scritto nella riforma? Per ora. Ma la strada è tracciata.