top of page

Preti feriti, bambini evaporati: il marcio dell’indignazione selettiva

C’è un criterio molto preciso per misurare l’indignazione della classe dirigente in Italia: quanto pesa una vita umana sulla bilancia politica? Feriscono un prete in una chiesa colpita da un bombardamento? Dichiarazioni, comunicati, sdegno istituzionale. Muoiono bambini a Gaza mentre stanno in fila per un po’ d’acqua? Un po’ meno. Anzi, molto meno. Anzi, niente.

Palestinian News & Information Agency (Wafa) in contract with APAimages, Public domain, via Wikimedia Commons
Palestinian News & Information Agency (Wafa) in contract with APAimages, Public domain, via Wikimedia Commons

Ma attenzione, non è crudeltà. È calcolo. Un prete ferito in un luogo sacro pesa di più (politicamente, mediaticamente e simbolicamente) di decine di migliaia di bambini morti, disidratati, ustionati, amputati. Quelli sono “effetti collaterali” o, peggio, “errori tecnici”. Il sacerdote invece no. Il sacerdote ferito è perfetto. È commovente ma non divisivo. Un dolore politicamente provabile.

 

Del resto, chiedere al governo italiano una posizione chiara sulla strage di civili palestinesi è come chiedere a un pesce pagliaccio di spiegarti Kant. Parlano solo quando possono piangere senza rischiare alleanze, simpatie o carriere. E allora vai con il cordoglio istituzionale ipocrita: ci si commuove per l’altare ma non per la sete.

 

A Gaza, i bambini erano lì. In fila per l’acqua, non per un miracolo. Non erano scudi umani. Non portavano bombe. Avevano bottiglie vuote in mano e madri addolorate accanto. E qualcuno ha deciso che si poteva comunque colpire. Tanto…che vuoi che succeda? Infatti. Niente. Nel silenzio generale sono evaporati.

 

Ma tranquilli: la chiesa, sì, quella ha fatto indignare. Perché un edificio con una croce, distrutto, muove più empatia di una fila di piccoli corpi.

 

E il Papa? Ah, il Papa. Leone, il “difensore della pace”, il “pontefice dei poveri”. Ha detto “basta guerra”. Bene. Ma nulla di più. Non una parola chiara sull’attacco alla chiesa che è comunque, ricordiamolo, un pezzo del suo Stato. Non una nota diplomatica, non un gesto di sovranità. Ha preferito la preghiera alla denuncia, il sospirato “dai ragazzi, smettiamola di fare la guerra” alla legittima difesa, quanto meno dialogica. Come un frate cappuccino col microfono, più che un monarca assoluto. Eppure è anche questo, no? Un sovrano. Con passaporti, ambasciatori, bandiere e tutto il resto. Ma al momento di farsi sentire come capo di stato, ha scelto il tono basso. Forse per non disturbare. Forse perché anche lui, in fondo, è solo un leader occidentale. Avanti, Israele. Avanti un altro.

 

Così ci ritroviamo in questa liturgia dell’ipocrisia, dove la vita umana ha un valore di mercato. C’è la morte che commuove e quella che imbarazza. Quella che si può nominare e quella che è meglio tacere. I bambini palestinesi sono ormai silenzio incarnato. E la politica italiana, che si indigna a comando, recita ancora una volta la sua parte: commossa ma selettiva. Addolorata e passivamente iraconda ma solo se conviene.

 

E poi ci lamentiamo se là fuori ci chiamano “Occidente marcio”. No, non è propaganda. È solo un riassunto. Lucido, doloroso e totalmente meritato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

  • Instagram
  • Facebook
bottom of page