Milano da bere: è la fine del modello ambrosiano?
- Massimo Battiato

- 21 lug
- Tempo di lettura: 3 min
L’inchiesta giudiziaria che sta terremotando la giunta milanese è solo l’ultima di una serie che riguarda il “modello ambrosiano” di gestione dell’urbanistica e può aiutarci a chiarire in che modo ha funzionato questo modello.

A differenza della maggior parte dei politici che, nella migliore delle ipotesi, confida nel lavoro della magistratura o, piuttosto, ne denuncia l’ingerenza nelle decisioni che dovrebbero essere competenza degli amministratori o dei legislatori, è possibile già ora giudicare i fatti che emergono senza attendere il giudizio della Cassazione. Il punto più importante non è tanto sapere se ci sono stati dei reati, che è compito dei giudici che stanno indagando, ma capire se gli amministratori si sono mossi nell’interesse dei cittadini o di qualche privilegiato. Comprendere come a Milano (ma questo è un modello che si sta esportando anche in altre città in modi simili) la commistione tra interessi privati e amministrazione comunale sia ormai prassi consolidata. Studi tecnici privati e assessori sembrano lavorare all’unisono per gestire le pratiche urbanistiche dove il controllore e il controllato si confondono e sembra abbiano un obiettivo comune: trasformare Milano in un paradiso, anche fiscale, per gli investimenti immobiliari.
Non è un mistero che le inchieste giudiziarie che avevano preceduto quest’ultima in cui sono indagati il Sindaco e un Assessore (assessorato dell’urbanistica, ora chiamato creativamente della “rigenerazione urbana”) avevano già fatto luce impietosamente sul modello Milano. Gestione e assegnazione degli spazi pubblici per soddisfare interessi privati. Progetti urbanistici quasi sempre che privilegiano le cubature di cemento, come si annuncia con la cessione (si auspica almeno a prezzi di mercato senza fare regali) dello Stadio Meazza, di proprietà del comune, alle società del Milan e dell’Inter. Grattacieli costruiti sopra vecchi magazzini che vengono fatti passare come ristrutturazioni, e ciò con una semplice Scia, cioè un’autocertificazione da parte del privato che comincia i lavori. Oneri di urbanizzazione tra i più bassi d’Europa: Milano offre ai costruttori una tassazione che è circa un terzo di quella di una città di pari grandezza (per numero di residenti) come Monaco di Baviera (l’8 per cento di Milano contro il 30 di Monaco). E questi sono soldi sottratti ai cittadini, visto che servono per finanziare i servizi che dovrebbero seguire le opere di urbanizzazione.
Tutto queste procedure vengono fatte passare come una necessità per procedere velocemente, e le leggi urbanistiche come un arcaico dispositivo che ostacola la crescita della città. Così il lavoro della magistratura viene visto come un ostacolo allo sviluppo e, pochi mesi fa, il ministro dei trasporti Salvini (non si sa bene con quale autorità e/o competenza) aveva proposto un decreto legge (il cosiddetto “Salva-Sala) che sarebbe stato una vera e propria sanatoria per il comune di Milano e per queste procedure di autorizzazione effettuate da funzionari comunali in deroga alle leggi e saltando le votazioni nel consiglio comunale. Questa sanatoria tanto voluta da Sala, che si sarebbe dovuta per necessità ovvie estendere a tutto il territorio nazionale, non è piaciuta al Presidente della Repubblica e anche a una parte del PD, azionista di maggioranza della giunta milanese. Probabilmente non è piaciuta neppure a una parte del governo. E così non se n’è fatto più nulla, almeno finora.
Il risultato del “Rito ambrosiano” è una città che ha visto un rapido sviluppo urbanistico, magari alcune opere architettonicamente interessanti e un ampliamento della rete dei trasporti che la vedono primeggiare in Italia con le sue 5 linee di metropolitana (a Roma si fatica a procedere con i lavori della terza), ma anche un mercato immobiliare a misura dei ricchi e dei turisti, che sta cacciando dalla città la classe media e ha completamente trasformato Milano da città industriale, in città dei servizi, della finanza, degli eventi, della moda, del “food and drink”, tanto a misura di ricchi affaristi, dei turisti, degli immobiliaristi, quanto poco dei lavoratori, degli studenti e di tutti coloro che non si possono permettere mutui o affitti a costi impossibili.
Ho letto con interesse un post pubblicato su Facebook giovedì 17 dalla deputata del PD Lia Quartapelle. Nel suo intervento in difesa del sindaco Sala, ha sostenuto il modello di sviluppo di Milano e che quella crescita ha contribuito a trascinare fuori della crisi del 2011 tutta l’Italia. Riconosce anche il rovescio della medaglia di questo modello, che ha portato anche uno squilibrio nella distribuzione della ricchezza e la gentrificazione della città. Auspica anche un intervento della politica per cambiare le “vetuste e inadeguate” (parole sue) norme urbanistiche.
In che senso queste norme sono vecchie e inadeguate? Che tipo di cambiamenti propone?
A mio parere, non sono le vecchie norme urbanistiche a ostacolare uno sviluppo urbano che sia sostenibile e inclusivo. La priorità non è cambiare queste norme, che certamente si possono rivedere e aggiornare, ma avere una classe politica e degli amministratori locali che rappresentino gli interessi di tutti i cittadini e non solo di pochi.





