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La querelle di Atreju e lo sport bipartisan di delegittimare Schlein

Si è molto discusso in questi giorni sulla querelle tra i leader politici e sul botta e risposta tra Elly Schlein, Giorgia Meloni e Giuseppe Conte, tirato dentro con la giacchetta, in merito alla partecipazione ad Atreju.

 

Schlein era stata invitata dagli organizzatori a partecipare alla manifestazione dei giovani di destra italiana che quest’anno giunge alla sua ventiseiesima edizione. Inizialmente la segretaria del partito democratico aveva accolto l’invito a condizione che ci fosse un confronto con Giorgia Meloni. La premier, evidentemente infastidita dalla proposta, anziché accettare, ha preferito rilanciare una controproposta, invitando allo stesso confronto anche Conte. Non in termini proprio garbati e pacifici, a dire il vero: «Conte, a differenza di Schlein, anche negli anni passati è venuto ad Atreju senza imporre alcun vincolo», ha scritto sul suo profilo social. Dunque Schlein, giustamente, deciso di fare retromarcia.

 

Considero infatti quello di Meloni un atteggiamento infantile, in quanto, da semplice cittadino, mi sarei aspettato che una presidente del consiglio semplicemente accettasse l’invito di una leader d’opposizione. Ma la maggior parte dei giornalisti vip e degli esperti da salotto (soprattutto quelli che si considerano progressisti) è di diverso avviso: si sono infatti complimentati con la premier per il suo astuto tatticismo politico, che avrebbe così, in una sola mossa, delegittimato il ruolo di Schlein come leader del «campo avverso» (sempre per citare il suo post) e, nello stesso tempo, creato un ennesimo strappo tra gli alleati dei partiti d’opposizione, facendo leva sul fatto di non essersi ancora accordati sulla scelta appunto del leader. Gli stessi giornalisti poi hanno criticato Schlein perché si sarebbe messa in una posizione difficile, cadendo nella trappola che lei stessa avrebbe contribuito a costruire.

 

La verità è che dare addosso alla segretaria dem e delegittimare la sua leadership è uno sport bipartisan fisso, da che è stata eletta, persino di recente da parte dei consiglieri del Quirinale. Tanto è che se solo la segretaria dem avesse un’unghia del vittimismo di Meloni, ne avrebbe di materiale per cui lamentarsi.

 

Proprio non si riesce a digerire il fatto che il pd, ai minimi storici dopo la sconfitta alle politiche del 2022, sia tornato a essere primo tra i partiti di centrosinistra, grazie a Schlein e che riceve una certa fiducia almeno da quella parte di elettorato che ancora vota. Malgrado ciò (o proprio per questo), sembra quasi che Schlein debba continuamente combattere per accreditarsi la sua leadership, anche contro quelli che dovrebbero essere gli alleati, in particolare contro le manie da protagonismo di Conte, che, naturalmente ha accettato l’invito della premier.

 

Schlein deve inoltre lottare contro gli oppositori interni al partito, che sono peggio degli avversari di destra. Soprattutto i centristi che faticano ad accettare la virata a sinistra del pd, che prova a realizzare la segreteria in base al mandato ricevuto dalle primarie; soffrono ogni possibile alleanza con il Movimento 5 stelle e dimenticano che è stata questa mancata alleanza a causare la debacle elettorale del ’22, dando l’Italia in pasto a questo attuale governo scandente. Temono ogni disobbedienza a un’Europa sempre più belligerante (e parlo da europeista) e votata all’austerità, e ricusano qualunque posizione critica nei riguardi del patto atlantico.

 

Infine, come già ho detto altrove, i padri nobili e nostalgici dell’agenda Draghi non digeriscono che a dirigere il partito sia una donna e, malgrado ottengano uno scarsissimo seguito elettorale, come hanno dimostrato, non da ultimo, le recenti regionali, pronunciano i loro dicta, travestendo di elegante riformismo il loro irrinunciabile atteggiamento da mansplaining. Non si rendono neppure conto che l’astensionismo non dipende dalla perdita di primato della linea centrista nel pd, a direzione Schlein, quanto probabilmente dall’ancora timido spostamento a sinistra, che fanno di tutto per ostacolare.

© European Union, 2025, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons
© European Union, 2025, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

Per tornare ad Atreju, Schlein, nel motivare le ragioni del suo dietrofront, è stata chiara: «Mi spiace che Giorgia Meloni abbia rifiutato di fare confronto con me», ha risposto a Piazza Pulita. «Forse oggi faccio più paura dopo le regionali?» E ha aggiunto: «Vuole fare il confronto di coalizione? Portasse anche Matteo Salvini. E se vuole portare anche Tajani noi portiamo anche Fratoianni e Bonelli.» Figuriamoci se Meloni accetta! Sa benissimo che a divisioni e contrasti la coalizione che forma l’esecutivo non se la passa meglio dei partiti d’opposizione. Si potrebbe dire che Conte sta a Schlein tanto quanto Salvini sta a Meloni. Lo stesso Salvini che, oltre a mettersi continuamente di traverso su tutto, seppure poi quando si vota in parlamento obbedisce alla sua Capa, prima che divenisse vicepremier, nelle vecchie chat di Fratelli d’Italia veniva chiamato: “ministro bimbominkia", "cialtrone", "ridicolo", "incapace", uno "che fa accordi sottobanco con Renzi per il cognato Denis Verdini." Non dimentichiamoci chi erano Meloni e quelli del suo partito solo pochi anni fa e come sono arrivati a governare l’Italia.

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