FdI punta il dito contro il Quirinale cadendo nel ridicolo
- Davide Inneguale

- 19 nov
- Tempo di lettura: 2 min
Lo scontro esploso il 18 novembre 2025 tra Fratelli d’Italia e la Presidenza della Repubblica non è stato un semplice incidente politico. È stato il punto di arrivo di una mossa calcolata, pensata per creare pressione sul Quirinale, e finita per ritorcersi contro chi l’ha promossa. Il casus belli nasce da un retroscena pubblicato da La Verità, dove si suggeriva l’esistenza di un fantomatico complotto anti-Meloni attribuito a un consigliere del Colle, Francesco Garofani. Niente prove, solo insinuazioni. Eppure FdI ha deciso di trasformare quel racconto in una questione istituzionale.

Ecco il punto: il capogruppo Galeazzo Bignami non si è limitato a chiedere chiarimenti. Ha lanciato un ultimatum. Ha chiesto una smentita immediata e ha dichiarato che, in caso contrario, il partito avrebbe “dedotto la fondatezza” delle accuse. Una costruzione retorica aggressiva che puntava a mettere all’angolo il Quirinale, sfruttando il silenzio come se fosse una confessione.
La risposta del Colle è stata qualcosa che raramente si vede. Rapida, netta e tagliente. La Presidenza ha parlato di “stupore” e ha definito l’intera operazione un attacco “sconfinato nel ridicolo”. Una parola pesante, soprattutto quando arriva da un’istituzione che di solito evita qualunque giudizio emotivo. Ciò che significa veramente è che il Quirinale ha smontato l’impianto politico dell’accusa, svelandone la natura strumentale e la fragilità.
La reazione di FdI, costretta in poche ore a ribadire la propria “lealtà istituzionale”, conferma quanto quell’ultimatum fosse costruito più per creare tensione che per cercare la verità. Ma qui sta il problema più serio. L’obiettivo reale non era Garofani. Era l’istituzione che rappresenta il garante della Costituzione. Insinuare che un consigliere lavori per provocare uno “scossone” contro il Governo significa minare la credibilità del Presidente proprio sul terreno in cui esercita i suoi poteri più delicati: la gestione delle crisi, lo scioglimento delle Camere, il ruolo di arbitro tra le parti politiche.
Questo attacco cade nel momento in cui FdI spinge per la riforma del premierato, che ridurrebbe drasticamente proprio quelle prerogative. Per questo l’episodio non è solo polemica. È un tassello di una strategia che cerca di indebolire la fiducia nel garante costituzionale e di ridisegnare gli equilibri istituzionali a vantaggio della sola maggioranza. Anche se bollato come “ridicolo”, il danno vero è qui: aver normalizzato l’idea che il Quirinale possa diventare un avversario politico.





