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La “concessione” della libertà di coscienza nel voto

Cosa vuol dire lasciare libertà di coscienza sulla scelta del voto ai propri, potenziali, elettori? Questa è una presa di posizione comune di molti politici, soprattutto su temi etici controversi, che a mio parere ha poco senso. Cioè si lascia libertà di pensiero e di voto come se questa non fosse garantita e gli elettori normalmente dovrebbero invece seguire le indicazioni dei capi di partito senza pensare con la propria testa. 

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Niccolò Caranti, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Ovviamente questa libertà di coscienza è concessa nelle occasioni di voto in cui si chiede al cittadino una presa di posizione su un tema specifico, come succede nei referendum. Ben diverso sarebbe lasciare libertà di coscienza ai propri elettori quando si tratta di scegliere il partito da votare per le elezioni politiche o amministrative. Infatti, in questo caso, non ho mai sentito un leader o un qualsiasi rappresentante politico appellarsi alla libertà di coscienza. Qui si tratta, casomai, di contendere il voto a partiti o schieramenti politici avversi o anche alleati. Le cose quindi cambiano quando si tratta di prendere posizione su temi specifici dove ognuno può avere un’opinione diversa anche rispetto al partito o allo schieramento politico normalmente preferito.

 

Così è successo, con l’ultima tornata referendaria. Alcuni rappresentanti politici hanno lasciato libertà di coscienza sulle tematiche legate al lavoro o al quesito sulla cittadinanza agli stranieri, come ha fatto Giuseppe Conte che ha “concesso” la libertà di coscienza ai propri elettori. Ma Conte è solo il primo esempio che mi viene in mente.

 

Lasciare libertà di coscienza al voto è una cosa ovvia, visto che ogni cittadino dovrebbe essere libero di votare sempre cosa gli indica la sua coscienza. Forse qualcuno potrebbe consigliare alle persone di votare contro coscienza? È chiaro che quando un rappresentante politico “concede” questa libertà non intende metterla in discussione, almeno spero. Piuttosto non ha un’opinione chiara su un tema specifico, oppure non vuole prendere una posizione specifica per non urtare la sensibilità dei propri elettori.

 

Nella Prima Repubblica, ma se si vuole estendere questo ragionamento a tutte le democrazie liberali, direi fino alla fine degli anni Ottanta, i partiti avevano delle posizioni sulla maggior parte dei temi e si impegnavano a convincere gli elettori ad accogliere queste posizioni argomentandole. Ora, con l’affermazione del pensiero unico neoliberista, i politici seguono i sondaggi e adeguano in qualche modo la propria posizione alla presunta opinione pubblica, tanto sulle questioni economiche fondamentali i margini di manovra della politica sono molto ridotti. Siamo passati dal costruire il consenso a inseguirlo.

 

Concedere libertà di coscienza ai propri elettori (presunti) non ha molto senso, non essendo una concessione ma un diritto individuale. Meglio sarebbe argomentare le proprie opinioni e, quando non se ne ha una, essere onesti, dichiararlo esplicitamente e alzare le braccia. È totalmente legittimo e umano.

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