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L’Orgoglio diventa anticostituzionale in Ungheria

Il 15 aprile il Parlamento ungherese ha approvato un emendamento costituzionale che vieta espressamente le manifestazioni del Pride et similia, segnando un ulteriore passo indietro nei diritti civili nel paese. Nonostante il divieto, la comunità LGBTQIA+ ungherese ha annunciato che il Budapest Pride si terrà comunque, in segno di resistenza e rivendicazione delle differenti libertà di espressione.

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Nerdyko, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Un giro di vite politico-giuridico

 

L’emendamento, approvato con la maggioranza di Fidesz-KDNP guidata da Viktor Orbán, sancisce che il sesso alla nascita è una caratteristica biologica immutabile, divenendo impossibile una qualsiasi rappresentanza non binaria o differente dal genere di nascita, inoltre vieta le manifestazioni che promuovono l’omosessualità o le identità di genere non canoniche.

 

La legge prevede inoltre l’uso del riconoscimento facciale per identificare e sanzionare i partecipanti a eventi vietati, con multe fino a 200.000 fiorini (sono circa 500 euro).

 

Questa misura si inserisce in un contesto di progressiva erosione dei diritti LGBTQIA+ in Ungheria, dove già dal 2021 è vietata la promozione dell’omosessualità ai minori, sono negati il riconoscimento legale delle persone transgender e l’adozione da parte di coppie omosessuali.

 

Il governo promuove il divieto del Pride come necessario per salvaguardare il «diritto di un bambino a uno sviluppo sano» e per impedire che «l’ideologia woke» influenzi negativamente i giovani, considerandola una minaccia ai valori tradizionali della famiglia e della società cristiana.

 

Critici e organizzazioni per i diritti umani denunciano una violazione dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

 

La risposta dell’opinione pubblica e dei media

 

La comunità LGBTQIA+ ungherese ha reagito con fermezza, annunciando che il Pride di Budapest si svolgerà comunque, sfidando apertamente il divieto costituzionale. Attivisti e associazioni per i diritti civili hanno definito la legge un attacco diretto alle libertà di espressione e di riunione. In particolare, nelle ore immediatamente successive all’approvazione dell’emendamento costituzionale, a Budapest si sono svolte manifestazioni di protesta organizzate dalla comunità e alleati LGBTQIA+ e dai gruppi per i diritti umani, che hanno tentato di bloccare l’ingresso al Parlamento per impedire il voto, venendo però allontanati dalle forze di sicurezza.

 

I media internazionali hanno ampiamente riportato la notizia, sottolineando come questa normativa rappresenti un ritorno indietro di decenni nei diritti civili e un segnale preoccupante di autoritarismo in Europa.

 

Parallelamente, il clima politico è caratterizzato da un forte controllo statale e da una retorica che identifica come oppositori: gli attivisti e media critici, identificati come «minacce alla sicurezza nazionale», con il rischio di misure come la sospensione della cittadinanza per reprimere il consenso. Questo ha generato timori tra giornalisti, attivisti e minoranze, che denunciano un progressivo restringimento dello spazio democratico.

 

Non va dimenticata la maggioranza filogovernativa e conservatrice della popolazione che sostiene le misure come necessarie per proteggere i valori tradizionali e la famiglia.

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© European Union, 1998 – 2025, Attribution, via Wikimedia Commons

Le reazioni europee

 

L’Unione Europea ha più volte criticato le politiche di Orban, deferendo l’Ungheria alla Corte di giustizia per le leggi discriminatorie già in vigore. Recenti sedute del Parlamento europeo hanno condannato la nuova stretta, chiedendo l’attivazione di procedure per gravi e persistenti violazioni dei valori europei.

 

Sedici paesi membri hanno espresso solidarietà alla comunità LGBTQIA+ ungherese, ma finora le risposte concrete sono state limitate, evidenziando le difficoltà dell’UE nel contrastare efficacemente le derive autoritarie all’interno dei propri confini. Anche le ONG si sono unite alla condanna dell’emendamento ungherese, sottolineando come questo rappresenti una regressione sociale e giuridica che viola gli obblighi internazionali dell’Ungheria, inclusi i principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalle convenzioni internazionali sui diritti umani. Inoltre, evidenziano il rischio che l’uso di tecnologie di riconoscimento facciale costituisca una forma di sorveglianza di massa e una violazione della privacy.

 

Prospettive future e conclusioni

 

La determinazione a organizzare il Pride costituisce un segnale di resistenza e visibilità. A livello europeo e mondiale, questa vicenda rischia di inasprire il confronto tra modelli di società inclusivi e tendenze autoritarie e conservatrici. Le organizzazioni per i diritti umani e le istituzioni europee dovranno intensificare la pressione politica e legale per tutelare i diritti fondamentali e contrastare la discriminazione sistemica. La sfida sarà mantenere alta l’attenzione internazionale e sostenere le comunità locali, affinché i diritti acquisiti non vengano cancellati e si possa avanzare verso una piena uguaglianza.

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