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L’antico e sempre nuovo pensiero unico

Nel dibattito culturale e politico occidentale odierno si è affermata una narrazione specifica, ovvero l’opposizione e il contrasto della cosiddetta cultura woke. Questa posizione si è trasformata in un conformismo di massa, un pensiero ampiamento diffuso, se non dominante, che però pretende di ammantarsi di un ribellismo eroico.

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:CPAC_2022_con_Hermann_Tertsch_y_Victor_Gonzalez._(51915407623)_Cropped_extract_Donald_Trump_Speech_Awake_Not_Woke_Slogan.jpg
Vox España, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Spesso capita di imbattersi in affermazioni quali "Non si può dire più niente", “se scrivo quello che penso mi bloccano”, "qualcuno che ha il coraggio di dirlo!", enunciati che riecheggiano costantemente sui social network, ma anche nei talk, pronunciati da politici, commentatori, e influencers. Il paradosso è evidente, nonché preoccupante per motivi che dirò più avanti: lo spazio mediatico occupato da queste voci è ampio, i sostenitori di queste presunte idee ribelli pubblicano libri, ottengono consensi e si vantano di visualizzazioni e likes, ma nonostante ciò continuano a presentarsi come portavoci di sparute e coraggiose minoranze, come se urlassero per farsi sentire al di là del muro della riserva indiana dove i progressisti cattivi li hanno segregati.

 

Questa narrazione racconta la realtà? Esiste davvero una nuova inquisizione dell’intoccabile mammone woke? Parrebbe di no, infatti una delle industrie culturali più redditizie degli ultimi anni è proprio la critica alla cultura woke. Podcast ascoltatissimi, Talk show televisivi, canali YouTube molto seguiti e quindi molto redditizi ne sono la prova tangibile. Il sedicente pensiero eretico è diventato la corrente principale, che non solo gode di ampi consensi, ma genera anche profitti non trascurabili, configurandosi come un vero e proprio modello di business, con figure mediatiche che costruiscono intere carriere (penso a un noto personaggio italiano che ha abbandonato la divisa per darsi alla stesura di libri e alla politica attiva) presentandosi come liberi pensatori che sfidano l'ortodossia, mentre in realtà perseguono interessi personali di natura economica e politica, aspetti che spesso coincidono.

 

Accademici, giornalisti famosi, politici di livello nazionale, celebrità e opinionisti godono di piattaforme potenti che raggiungono un pubblico ampio per potersi lamentare della presunta censura di cui si dicono vittime, presentandosi come voci marginali e perseguitati o in procinto di esserlo e questo è un altro paradosso: coloro i quali si dicono vittime della censura in realtà esprimono le loro idee dall’alto di una posizione di privilegio.

 

L’obiezione che spesso viene mossa a questi individui è che il fatto stesso che possano esprimere le loro tesi smentisce la nozione di pensiero unico, ma la risposta è stucchevole: “per il momento”, come se fossimo sull’orlo di una dittatura woke. Questa narrazione della persecuzione è chiaramente artefatta, tutt’altro che genuina e spontanea ed è tesa a perseguire un duplice obiettivo: da un lato, delegittimare le scomode richieste di riconoscimento e rappresentanza da parte di gruppi marginalizzati, dall’altro quello di conferire un'aura eroica a chi esprime posizioni in realtà mainstream.

 

Ci sono altri elementi peculiari di questo nuovo conformismo che meritano di essere citati. Uno è la sistematica riduzione al ridicolo e semplificazione delle posizioni avversarie. Concetti complessi come la decolonizzazione vengono ridotti a slogan facilmente ridicolizzabili, privati spesso del loro contesto storico. Un altro tratto distintivo è il richiamo nostalgico a un passato idealizzato esistente prima delle conquiste dei diritti civili e dei movimenti di emancipazione, con una connotazione nostalgica che dimentica selettivamente le ingiustizie di quel passato, proponendo una visione addolcita della storia utile a delegittimare le rivendicazioni contemporanee.

 

Certo, qualcuno potrà obiettare che anche la cultura woke ha visto partorire tesi discutibili, ma io credo che in questo contesto il vero coraggio intellettuale non consista nel ripetere le critiche pretestuose, stantie e ormai mainstream alla cultura woke, ma nel resistere sia all'ortodossia woke più dogmatica sia al suo rovesciamento speculare. La vera sfida consiste nel rifiutare le semplificazioni e le visioni mitizzate di un passato edulcorato, accogliendo la complessità, riconoscendo le legittime istanze di giustizia sociale senza cadere in estremismi ideologici.

 

Il vero pensiero critico necessita la capacità di muoversi in questa realtà complessa senza cercare comodo rifugio nel conformismo di qualsivoglia stampo e orientamento politico, lasciando invece spazio al dubbio, al ragionamento e al dialogo intellettualmente onesto, al fine di scongiurare che il potenziale liberatorio della critica sociale venga annullato, in quanto è proprio questo il rischio che si corre, ovvero che il nuovo pensiero unico, soffochi proprio quello spirito critico che pretenderebbe di difendere.

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