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Kast: la nuova bandierina trumpiana in Sud America

Chi ha vissuto la dittatura di Augusto Pinochet in Cile potrebbe riferire in maniera vivida dei crimini consegnati alla storia dal regime che si instaurò con il golpe del 1973, complici Kissinger e gli Stati Uniti. Eppure oggi lo stato della cordigliera andina saluta il neo eletto presidente José Antonio Kast, esponente del Partido Republicano ascrivibile all’area politica conservatrice condivisa da Trump e Milei, figlio di uno di quei nazisti fuggiti in Sud America dopo la Seconda Guerra Mondiale e sostenitore di Augusto Pinochet. 

Equipo Kast, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons
Equipo Kast, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

Kast ha cumulato un distacco di quasi venti punti sull’avversaria Jeannette Jara, candidata della coalizione progressista Unidad por Chile e legata al giovane presidente uscente Gabriel Boric. Il risultato che ha portato l’avvocato cristiano conservatore alla Moneda, il più votato nella storia del paese, è frutto di diversi fattori di cui il bilancio poco esaltante del governo di sinistra è solo una parte. La presidenza Boric si è infatti caratterizzata per riforme rimaste solo in campagna elettorale e timidamente portate avanti durante il mandato, come il tentativo fallito di dotarsi di una nuova carta costituzionale che superasse quella della dittatura.

 

Il mantra che ha scandito il passo di Kast è lo stesso che segna ovunque l’avanzata delle destre: sicurezza, lotta all’immigrazione, neoliberismo e identità nazionale, qui declinata con una languida nostalgia di Pinochet. Temi più caldi e reattivi come l’aborto o l’apologia esplicita del pinochetismo sono stati lasciati in secondo piano, pur essendo ben chiare le posizioni del candidato repubblicano.

 

Dando uno sguardo al primo turno, Jara, ministra del lavoro del governo Boric e autrice di importanti riforme su salario e pensioni, era riuscita anche ad ottenere la maggioranza relativa con il 27% delle preferenze pur giocando il ruolo della sfavorita. A lei si erano opposti ben tre candidati espressione diretta delle destre: Kast (24%), Kaiser (14%) e Matthei (12%). A questi si aggiungeva l’economista Franco Parisi (20%), candidato con lo schieramento populista di destra moderata Partito de la Gente, che aveva dato indicazione di neutralità per la seconda votazione. Gli analisti hanno identificato nel meccanismo di obbligatorietà del voto (pena una multa) un ulteriore contribuito nel compattare a destra un voto inizialmente frammentato, insieme al divieto di secondo mandato del presidente uscente, previsto dalla legge elettorale.

 

La vicinanza temporale con la destituzione di Pinochet, l’uccisione di migliaia di oppositori, torture, sparizioni, violenze, e repressioni del regime documentate dagli organismi internazionali, non hanno persuaso la popolazione cilena dall’eleggere nel 2025 un politico che, al momento di scegliere fra democrazia e dittatura con un referendum, nel 1988 votò per mantenere il regime sanguinario. Oggi il Cile è una repubblica presidenziale in cui il potere esecutivo è nelle mani del Presidente della Repubblica che riveste anche la figura di primo ministro. Parafrasando l’oramai noto slogan americano, Kast vuole far tornare “grande” il Cile spingendo su non ben precisate riforme in chiave neo liberista, rinforzando le frontiere, stringendo rapporti politico economici con lobby e l’internazionale nera che, da Washington al cuore dell’Europa, festeggia l’ascesa al potere di un altro dei suoi accoliti.

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