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Giorgia Meloni, tra bugie e mezze verità

“Governo stabile, promesse mantenute, Italia protagonista nel mondo.” Così, in estrema sintesi, si potrebbe riassumere l’intervista rilasciata da Giorgia Meloni all’Adnkronos il 2 maggio. Ma a guardare con attenzione, tra le righe si nascondono parecchie mezze verità e qualche bugia.

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Giorgia_Meloni_Official_2024.jpg
Governo Italiano, CC BY 3.0 IT, via Wikimedia Commons

Partiamo dai numeri. Meloni rivendica che il suo è il quinto governo più longevo della Repubblica. Qui ha ragione: i 924 giorni in carica lo piazzano ai piani alti della classifica. Ma già alla seconda dichiarazione arriva una forzatura. La premier sostiene che l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, al centro della sua riforma costituzionale, fosse nel programma elettorale del centrodestra. Peccato che quel programma parlasse di elezione diretta del Presidente della Repubblica, non del premier. Un dettaglio? Forse. Ma è su questi dettagli che si misura la coerenza politica.

 

Sui salari, Meloni parla di “cambio di rotta” grazie all’azione del governo. In realtà, l’aumento delle retribuzioni registrato è minimo e si inserisce in un trend iniziato ben prima. Discorso simile per l’occupazione: sì, cresce, anche quella femminile che ha raggiunto livelli record, ma la tendenza era già in atto dal 2021. Inoltre Meloni si riferisce ai posti di lavoro, e non di occupati. Una sottile differenza in cui però si nasconde la propaganda velata da dati fuorvianti. A tal proposito infatti è bene notare che per gli under 35 il tasso di occupazione è in forte calo dal mese di marzo, +1.6 punti percentuali che portano la disoccupazione giovanile al 19%.

 

C’è poi la questione delle carceri: Meloni dice servano 10mila nuovi posti. Qui niente da ridire, il numero è in linea con le stime sul sovraffollamento, aggravato anche dall’aumento dei reati voluto da questo Governo. Meno solida è invece l’affermazione sull’export: “ci giochiamo il quarto posto al mondo”, dice. Ma l’Italia, dati alla mano, è al settimo, dietro anche alla Corea del Sud.

 

Insomma, nell’intervista la narrazione è chiara e ben costruita, ma a tratti si allontana dai fatti, condita con il consueto vittimismo e attacchi all’antifascismo espresso nelle ultime settimane a gran voce da tantissimi italiani.

 

Questo è un dettaglio da non sottovalutare, la premier infatti ha in un’altra occasione, nel ricordo di Sergio Ramelli, provato a cucire una narrazione unificante, ma finisce per riscrivere la storia: l’antifascismo diventa un’ideologia violenta, non la base della nostra democrazia. L’omicidio di Ramelli, certamente brutale e ingiustificabile, viene trasformato in atto di “sacrificio” contro “l’odio”, mentre l'antifascismo ridotto a causa scatenante, non a reazione alla dittatura. Così, la destra di Governo si presenta come vittima storica, ribaltando il senso profondo della nostra memoria repubblicana. Le commemorazioni cariche di saluti romani vengono liquidate come “note fuori posto”, e figure della destra storica come Ignazio La Russa e Calderoli, parlano di antifascismo “militante” come se fosse un crimine. In questo racconto distorto, la memoria non è più condivisione, ma strumento per delegittimare l'antifascismo e rilegittimare simboli che la Costituzione ha già condannato, ma che vengono sempre più tollerati.

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